Secondo la suprema Corte, non si può escludere la potenziale pericolosità e dannosità di un vaccino solo perché viene qualificato dalla letteratura scientifica medica come sicuro. Nel caso venga richiesto un risarcimento danni, il giudice deve accertare se, nel caso specifico, può esserci un possibile collegamento tra l’inoculazione del farmaco e i pregiudizi lamentati, “tenendo conto non solo delle leggi statistiche, ma anche delle acquisizioni probatorie”. Se dovesse risultare provato che dal vaccino sono derivate conseguenze fisiche e/o psichiche decisamente invalidanti, il danneggiato ha diritto al risarcimento dei danni.
IL FATTO
Il protagonista di questa vicenda giudiziaria, nel luglio del 1960, quando era un bambino di soli due anni di età, ha ricevuto la somministrazione della terza dose del vaccino antipolio Salk, ma ha contratto ugualmente la poliomielite riportando la paresi delle gambe. Negli anni successivi, subisce numerosi ricoveri ospedalieri per trattamenti e interventi chirurgici e nel 1986 gli viene riconosciuta l’invalidità civile al 100% per handicap grave con disturbi cardiologici legati alla somatizzazione dell’ansia. Nel 2009, in esito ad attenti controlli medici ed approfonditi esami, viene riconosciuto che la sua condizione poteva considerarsi una conseguenza del vaccino; anche perché quello a lui somministrato, aveva provocato casi di poliomielite e per questo era stato sospeso negli Stati Uniti
VICENDA GIUDIZIARIA
Convintosi della dannosità del vaccino, l’invalido ricorre in giudizio per chiedere il risarcimento di tutti i danni patiti al Ministero competente, ritenuto responsabile per aver consentito l’immissione in commercio e la distribuzione ai centri vaccinali di partite di vaccino non correttamente preparate e per aver omesso la prevenzione dei danni da lui patiti anche attraverso l’inoculazione della terza dose di vaccino, nonostante alcuni sintomi ne sconsigliassero la somministrazione.
In particolare, l’attore argomenta:
- che il vaccino inoculatogli faceva parte di un lotto immesso sul mercato con virus non sufficientemente inattivato;
- che fosse ritenuto pericoloso dalla letteratura specialistica, tanto da essere stato sostituito dal vaccino orale Sabin;
- che avesse provocato alcuni casi di poliomielite negli Stati Uniti sin dal 1955.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 11670/2014, accoglieva parzialmente la domanda risarcitoria e condannava il Ministero al risarcimento dei soli danni derivanti da sindrome post-polio, considerando quelli correlati alla poliomielite paralitica insorta nel 1960 non risarcibili per intervenuta prescrizione.
La Corte d’Appello di Roma, riformava la decisione negando il diritto al risarcimento, per mancanza del nesso causale tra la vaccinazione e i danni lamentati. Secondo il giudice dell’appello, il Ministero della Salute non poteva essere ritenuto responsabile per i danni derivanti dalla somministrazione di un vaccino che la letteratura scientifica qualificava come sicuro, in quanto il potenziale carattere dannoso del vaccino inoculato non era conosciuto all’epoca del fatto.
DECISIONE DELLA CASSAZIONE
La suprema Corte di Cassazione, con sentenza 18 novembre 2022, n. 34027, annulla la decisione perché non si può escludere il nesso causale tra la vaccinazione e i danni patiti solo perché la letteratura scientifica ne esclude la potenziale pericolosità e nega ogni possibile danno.
La Corte di Appello, secondo gli Ermellini, ha sbagliato a negare il nesso di causalità tra il vaccino e i danni lamentati senza approfondire il singolo caso sulla base della documentazione probatoria prodotta in giudizio. Si è conformata ad un “dogma” scientifico, quando avrebbe dovuto accertare se, nel caso specifico, i pregiudizi patiti potevano essere stati determinati dal difetto del farmaco inoculato, o dalla sua controindicata somministrazione.
Fanno osservare i giudici di legittimità che, peraltro, la decisione basata sull’assenza di evidenze scientifiche rispetto alla pericolosità di un vaccino, non risulta neppure conforme ai precedenti di legittimità secondo cui il Giudice deve valutare l’esistenza, o meno, del nesso causale tra fatto ed evento, “sulla base delle acquisizioni probatorie e non soltanto sulle astratte leggi statistiche”.
Infine, i giudici di legittimità richiamano l’attenzione sul fatto che anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con specifico riferimento all’inoculazione di un vaccino, aveva stabilito che ”la mancanza della prova scientifica della dannosità di un vaccino non può impedire l'individuazione processuale di un nesso di causalità tra l'inoculazione del farmaco e l'insorgere della malattia, dovendo il giudice investito della causa valutare scrupolosamente il quadro indiziario fornito dalla parte danneggiata per stabilire, nel caso specifico, l'eventuale inferenza tra la somministrazione del farmaco e l'evento lesivo”.
Per tali ragioni la decisione è stata cassata con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, anche per procedere alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.