Ultimo aggiornamento:  5 Maggio 2023

Caduta pedone per avvallamento marciapiedi: il Comune deve pagare?

La Cassazione è tornata ad occuparsi della responsabilità dell’Ente proprietario della strada o del marciapiedi nel caso di caduta di un pedone dovuta ad una anomalia- Capita spesso che per una buca, un avvallamento, un tombino mal posizionato o altre irregolarità, qualche passante cada riportando danni, dei quali poi chiede il risarcimento. In mancanza del raggiungimento di accordo risarcitorio stragiudiziale, la via giudiziaria può diventare incerta, lunga e tortuosa. La norma di riferimento, in questi casi, è l’articolo 2051 del Codice civile, secondo cui “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”. Può essere utile sapere in quali situazioni, più di altre, è possibile ottenere un risarcimento. L’esame della giurisprudenza può aiutare a capire quando l’Ente proprietario potrebbe essere ritenuto responsabile, per non aver provveduto ad eliminare un pericolo occulto costituente un’insidia e quando invece la colpa potrebbe essere attribuita al pedone perché la caduta con un po’ di attenzione poteva essere evitata.

La stessa tematica è stata affrontata in un articolo pubblicato il 22 novembre 2022.

IL CASO

Nel caso di specie una signora promuoveva un giudizio per chiedere al giudice di accertare la responsabilità di un Comune per i danni riportati, a causa di una caduta per un avvallamento della pavimentazione del marciapiedi.

Il Giudice adito stabiliva che la caduta era “imputabile ad esclusiva responsabilità della danneggiata per non aver prestato, in presenza di pavimentazione del marciapiedi evidentemente sconnessa, particolare attenzione al proprio incedere, evitando di percorrere la parte del marciapiedi in cui le sconnessioni erano maggiori”. Poiché dalla ricostruzione della dinamica del sinistro si desumeva la mancanza di un nesso causale tra la cosa in custodia (marciapiedi) e la caduta, rigettava la domanda. La signora proponeva appello e la Corte d'appello confermava la sentenza di primo grado, ritenendo che “l'esimente del caso fortuito doveva ritenersi integrata dalla autoresponsabilità della danneggiata la quale, in presenza di condizioni adeguate di visibilità e di una buca di dimensioni importanti, avrebbe dovuto avvedersi, e in assenza di elementi che potessero configurare un'insidia ai sensi dell'art. 2043 c.c., era da ritenere la causa esclusiva dell'evento”. Nel ricorso in Cassazione la signora contestava il fatto che il giudice d’appello aveva esentato da responsabilità il Comune senza accertare il comportamento della danneggiata e senza una convincente prova del configurarsi delle condizioni di imprevedibilità ed eccezionalità che caratterizzano il caso fortuito.

LA CASSAZIONE

La suprema Corte, richiamando le precedenti sentenze sul configurarsi del caso fortuito anche nel caso di comportamento imprudente del danneggiato (Cass. n. 2477 del 2018, n. 27/24 del 2018, n. 2588 del 2018, espressamente richiamate dalla recente pronuncia a Sezioni Unite n. 20943 del 2022), ha ribadito che il caso fortuito può essere rappresentato, oltre che da un evento eccezionale ed imprevedibile, anche da un comportamento imprudente o da una condotta colpevolmente incauta del danneggiato. Soprattutto quando “la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze”. I giudici delle Sezioni Unite avevano puntualizzato che quanto più la situazione di possibile danno è prevedibile ed evitabile con la dovuta attenzione, “tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso”.

In conclusione, la suprema Corte ha respinto il ricorso perché la sentenza impugnata, si è attenuta ai principi già fissati dalla giurisprudenza di legittimità, “avendo rilevato come il venir meno del danneggiato all'obbligo di autoresponsabilità, abbia costituito una causa autonoma nella produzione del sinistro, tale da integrare gli estremi del caso fortuito”,

CASO FORTUITO

Il caso fortuito, in grado di escludere la responsabilità della Pubblica Amministrazione generalmente è un evento naturale, o comunque assimilato, verificatosi in modo del tutto inatteso, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile, nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza. In tali situazioni, l’Ente tenuto alla custodia potrebbe facilmente dimostrare che l’alterazione costituente insidia è dovuta a tale evento inatteso e imprevedibile. Ovviamente, non è sostenibile il caso fortuito e l’assenza di una colpa omissiva, per un infortunio dovuto ad un’insidia stradale non eliminata tempestivamente e che magari sia stata più volte segnalata dai cittadini.

Tuttavia, secondo un filone giurisprudenziale ormai consolidato, del quale fa parte la decisione sopra commentata, il caso fortuito può essere integrato anche dalla condotta colpevole del danneggiato. Quindi, non soltanto dagli eventi naturali o dalle azioni poste in essere da soggetti terzi rispetto alle parti in causa.

Cos’è l’insidia stradale?

La giurisprudenza prevalente, sia di merito che di legittimità, ha ritenuto non esente da colpa e quindi responsabile il custode di un bene pubblico (strada, marciapiedi ec.), in presenza di un “pericolo occulto”, costituito da una “insidia stradale” o trabocchetto. In tali casi, l’Ente pubblico proprietario (oggettivamente responsabile) è tenuto al risarcimento del danno, per eventuali cadute di pedoni o altri incidenti con danni.

La locuzione “insidia stradale”, sta ad indicare una anomalia della strada o del marciapiedi che costituisca un “pericolo occulto”, non visibile, né evitabile dal pedone, o dal guidatore. Pertanto, l’insidia “risarcibile” deve essere caratterizzata dal doppio e concorrente requisito della non visibilità oggettiva e della non prevedibilità del pericolo. Questo perché, come più volte ribadito dalla giurisprudenza “la presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia non si applica agli enti pubblici ogni qual volta il bene, per le sue caratteristiche (estensione e modalità d’uso) sia oggetto di un’utilizzazione generale e diretta da parte di terzi, che limiti in concreto le possibilità di custodia e vigilanza sulla cosa”. Per questo, “l’ente pubblico può essere ritenuto responsabile per i danni subiti da terzi a causa di una insidia stradale soltanto quando l’insidia stessa non sia visibile, e neppure prevedibile” (Cass. del 19.06.2015 n.12802) Si può dire che, contrariamente a quello che molti pensano, quanto più evidente e macroscopica è l’anomalia, tanto più difficile è ottenere il risarcimento. Quindi, in conclusione, per ottenere il risarcimento il danneggiato deve provare: l’esistenza di una anomalia della zona interessata, oggettivamente non visibile, costituente un pericolo non prevedibile e quindi evitabile.  Già sembra una strada in salita e non finisce qui, perché il danneggiato deve dimostrare: l’evento; il collegamento tra l’evento e il danno (nesso causale) e la quantificazione economica del danno.

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