Un condomino è stato condannato al risarcimento dei danni alla salute riportati da un vicino di casa, a causa dei “cupi ululati e fastidiosi guaiti” dei propri cani nelle ore notturne destinate al riposo. Lo stress per la perdita di sonno sarebbe stata la causa di patologie tali da costringere il vicino ad assentarsi spesso dal lavoro per malattia. Situazione ritenuta insostenibile dall’azienda datrice di lavoro che per questo lo ha licenziato.
Il tema delle “immissioni rumorose intollerabili” di qualsiasi genere, viene frequentemente sottoposto all’attenzione delle autorità giudiziarie. Per quanto riguarda il fastidio che possono arrecare i cani, è il caso di dire che la maggioranza di quelli che vivono in condominio sono educati e quieti e non arrecano nessun disturbo. Quando disturbano, spesso dipende dai padroni che li lasciano soli o li mettono sul balcone dove non vogliono stare. Certamente, un cane che abbaia in continuazione, soprattutto la notte, può diventare un disturbo insopportabile. Occorre distinguere il caso in cui la molestia riguarda diverse persone: tutte quelle che vivono nel vicinato, da quello in cui a lamentarsi è qualcuno in particolare (il solo vicino). Nel primo caso può configurarsi un illecito penale relativo al “disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone” (articolo 659 Codice penale), e può parlarsi di disturbo della quiete pubblica, nel secondo caso l’illecito è di natura civile.
DISTURBO DELLA QUIETE PUBBLICA
Se il cane abbaiando arreca disturbo a tante persone, si può chiedere l’intervento della polizia o dei carabinieri ed il proprietario rischia la detenzione fino a 3 mesi o un’ammenda fino a 309 euro. Nei casi più gravi, quelli nei quali nonostante le sanzioni il cane dovesse continuare ad abbaiare, il proprietario potrà anche ricevere una diffida ad allontanare l’animale dalla propria abitazione e a trasferirlo in un ricovero specializzato. Nel caso di disturbo della quiete pubblica, si ritiene sufficiente la prova della percettibilità delle emissioni rumorose da parte di un numero illimitato di persone, a prescindere dal fatto che in concreto siano state effettivamente disturbate. La giurisprudenza ha stabilito che il reato di cui all'articolo 659 del Codice penale è un reato di “pericolo presunto”, quindi, “ai fini della configurabilità di detta fattispecie e della conseguente responsabilità in capo al suo autore non occorre la prova dell'effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente l'idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato”.
MOLESTIA AL VICINO
Qualora danneggiato dal disturbo dovesse essere un singolo o una sola famiglia, bisognerà rivolgersi a un avvocato e fare causa al proprietario del cane per chiedere a un giudice civile la cessazione della molestia. In questi casi viene normalmente richiesto un provvedimento d’urgenza, motivato con prove e testimonianze, per far cessare il disturbo arrecato dal cane il prima possibile. Il giudice nominerà un consulente che si occuperà di compiere le indagini del caso. Se viene accertata l’insopportabilità dei latrati (in quanto effettivamente intollerabili), il giudice potrà anche ordinare al padrone del cane di mettere in atto le misure necessarie all’eliminazione del rumore molesto, come per esempio l’insonorizzazione dell’appartamento. Il possessore dell’animale (proprietario dell’appartamento o affittuario) potrà essere condannato a pagare danni (se richiesti e accertati). Generalmente, danno morale e biologico per ansia e stress provocati dal latrare.
LIMITI CONSENTITI
A proposito dei limiti consentiti, o soglia di tollerabilità consentita per le “immissioni rumorose” in genere, il DPCM 14/11/97, all’articolo 4 stabilisce i limiti massimi per i rumori percepiti all’interno di una casa, che corrispondono a: 5 decibel durante il giorno, nell’orario compreso tra le 6 del mattino e le 22; 3 decibel durante la notte.
CASO DI SPECIE
Un uomo chiama in giudizio il condomino suo vicino per farsi risarcire i danni alla sua salute mentale a causa di “cupi ululati e continui e fastidiosi guaiti nelle ore notturne”, emesse dai suoi cani, “collocati sul terrazzo dell’abitazione e sul terreno comune del fabbricato”. Nel caso di specie, ad esempio, è stata ritenuta credibile dai giudici la tesi secondo cui i latrati eccessivi e costanti gli abbiano causato un detrimento di capacità lavorativa tale da condurlo alla perdita del proprio posto di lavoro. La perdita di sonno avrebbe aumentato lo stress, causandogli patologie tali da costringerlo ad assentarsi per malattia numerosi giorni dal lavoro. Situazione ritenuta insostenibile dall’azienda datrice di lavoro, che per questo lo avrebbe così licenziato. Il condomino proprietario dei cani è stato condannato prima dal Tribunale e poi dalla Corte di Appello a risarcire il danno alla salute procurato al vicino. I giudici di merito hanno ritenuto provata la connessione causale tra la perdita di capacità lavorativa che è stata causa del licenziamento e il continuo disturbo arrecato dai cani. A nulla è servito il ricorso in Cassazione del proprietario, che i giudici di legittimità hanno rigettato ritenendolo inammissibile, per essere i diversi motivi sollevati tutti “finalizzati ad ottenere una diversa rilettura nel merito della vicenda”. Riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, in sede di legittimità, non è possibile “atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi”. Quanto ai tempi della giustizia, la prima sentenza di condanna emessa dal Tribunale risale al 2012.