Commette un reato chi fa vivere animali domestici in un ambiente non idoneo e in condizioni incompatibili con la loro natura, procurando così gravi sofferenze. Lo ha stabilito una sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna di un uomo per il reato di abbandono di animali. Teneva sette cani, di cui alcuni cuccioli, in una casa di soli 40 metri quadri, in uno spazio ristretto e in condizioni igieniche precarie. Non è valso ad evitare la condanna il fatto che il padrone nutrisse gli animali e li portasse fuori a passeggio per espletare le loro funzioni fisiologiche. Il loro numero rapportato allo spazio a disposizione, la mancanza di luce e le condizioni igieniche precarie, sono state ritenute “costrizioni” sufficienti a configurare il reato.
ABBANDONI E MALTRATTAMENTI
Il reato di abbandono di animali è disciplinato dall’articolo 727 del Codice penale, che regolamenta due situazioni diverse. L’abbandono vero e proprio di chi intende liberarsi dell’animale e lo lascia in mezzo a una strada (o trova altre modalità tra le diverse varianti per liberarsene) e l’incuria chi lo fa vivere in condizioni incompatibili con la sua natura. Si commette il reato di abbandono anche quando l'animale è lasciato temporaneamente solo, senza che nessuno se ne prenda cura (capita spesso nel periodo estivo). Le disposizioni dettate dal codice sono chiare ed inequivocabili: “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro”. Il secondo comma dello stesso articolo prevede: “Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze”. Il Codice penale, contiene anche un altro articolo, ricompreso tra i “delitti contro il sentimento per gli animali”, che è quello riguardante i maltrattamenti, con una punizione ancora più severa: “la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro” (art. 544 ter). Con tale maggiore pena, è punito “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche”.
AMBIENTE INCOMPATIBILE
La vicenda conclusasi in Cassazione, con la conferma della condanna per abbandono, riguarda le condizioni di compatibilità ambientale. In prima istanza il Tribunale ha condannato l’imputato dopo aver accertato che teneva i suoi sette cani di razza Husky e Samoiedo, di cui cinque cuccioli, in un appartamento di soli 40 metri quadri, in condizioni di sporcizia e in totale assenza di igiene dell'abitazione. L’appartamento presentava “pareti scolorite, corrose dall'urina e con tracce di muffa”. Pavimenti “incrostati di sporco, polvere e rifiuti di vario genere sparsi ovunque”. Gli spazi ristretti della dimora erano ulteriormente ridotti “dall'ammasso di mobili, stoviglie, panni, attrezzi sparsi sul pavimento o sul tavolo o ancora accatastati”. La tapparella dell’ambiente ove erano tenuti i cani era guasta con la conseguenza che gli animali restavano tutto il tempo privi di luce naturale. Per le condizioni igieniche dovute alla noncuranza dell'imputato, “gli animali presentavano il pelo di colore giallo a causa dell'urina”. Tutta una serie di circostanze che hanno motivato la condanna per abbandono, “considerate le condizioni incompatibili con la natura degli animali e produttiva di grandi sofferenze”. Il Tribunale, dando rilievo alle modalità del comportamento, particolarmente odioso e contrastante con il senso di umanità verso gli animali, ha negato al colpevole la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
LA CASSAZIONE
I giudici di legittimità, con la sentenza n. 39844 del 21 ottobre 2022, hanno ritenuto la motivazione della sentenza di condanna del Tribunale “congrua e non manifestamente illogica” non censurabile in sede di legittimità, anche perché, in linea con i “principi di diritto affermati da questa Corte in subiecta materia”. Gli stessi giudici hanno ritenuto condivisibile anche la decisione del Tribunale di negare al colpevole la concessione delle circostanze attenuanti generiche, avendo giustamente dato “rilievo ostativo, e decisivo ai fini della valutazione negativa della personalità dell'imputato, alle modalità dell'azione, particolarmente odiose e contrastanti con il senso di umanità verso gli animali”.
La sentenza richiama l’attenzione sul fatto che “la L. 22 novembre 1993, n. 473, di modifica dell'art. 727 c.p., ha radicalmente mutato il presupposto giuridico di fondo sotteso alla tutela penale degli animali, i quali sono considerati non più fruitori di una tutela indiretta o riflessa, nella misura in cui il loro maltrattamento avesse offeso il comune sentimento di pietà, ma godono di una tutela diretta orientata a ritenerli come esseri viventi”.
Per il resto non fa altro che confermare quella che è stata la costante giurisprudenza precedente
PRINCIPI RICHIAMATI
Vediamo quali sono i principi di diritto affermati in precedenza e menzionati dalla sentenza in commento. Considerata la loro importanza ai fini della comprensione del reato di abbandono, li riporto integralmente (riferimenti bibliografici compresi).
- “Questa Corte ha affermato che, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 727 c.p., la detenzione di animali in condizioni produttive di gravi sofferenze consiste non solo in quella che può determinare un vero e proprio processo patologico nell'animale, ma anche in quella che produce meri patimenti (Sez.3,n. 14734 del 08/02/2019,Rv.275391 - 01; Sez. 3 n. 175 del 13/11/2007, dep. 2008, Mollaian, Rv. 238602)”.
- “Assumono rilievo non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell'animale, procurandogli dolore e afflizione (Sez. 7, n. 46560 del 10/7/2015, Francescangeli e altro, Rv. 265267)”.
- “è stato, quindi, ritenuto integrato il reato in esame anche in situazioni quali la privazione di cibo, acqua e luce (Sez. 6, n. 17677 del 22/3/2016, Rv. 267313), o le precarie condizioni di salute, di igiene e di nutrizione (Sez.3, n. 49298 del 22/11/2012, Rv.253882 - 01), nonché dalla detenzione degli animali con modalità tali da arrecare loro gravi sofferenze (Sez.5,n. 15471 del 19/01/2018, Rv.272851 - 01); ed è stato anche precisato che non è necessaria la volontà del soggetto agente di infierire sull'animale né che quest'ultimo riporti una lesione all'integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti (Sez.3, n. 175 del 13/11/2007,dep.07/01/2008,Rv.238602 - 01)”.
Quindi, tornando per concludere al caso di specie, non ha avuto rilevanza quanto fatto valere a discolpa. Il fatto che 5 dei 7 cani tenuti nel piccolo appartamento fossero cuccioli con limitate esigenze di spazio, che venissero portati a passeggio regolarmente e che non versassero in condizioni di malnutrizione. Il reato di abbandono è stato ritenuto integrato in base alle condizioni ambientali accertate pur, “non rilevando a tale fine una precisa volontà del soggetto agente di infierire sugli stessi o di provocargli lesioni”.