Le istituzioni sono realtà motivate da esigenze munite del crisma della ufficialità, perciò, hanno in sé come componente essenziale il fattore “pubblico”. Da qui, per una istituzione che si rispetti, la necessità di darsi delle regole; da qui l’esigenza di stabilire delle funzioni gerarchiche, perché non ci sia il caos, perché in una eventuale assemblea di membri democraticamente eletti ciascuno possa esprimere liberamente le proprie idee.
Alla base di ogni istituzione c’è un popolo, una moltitudine che osserva i propri rappresentanti e se li coccola, cercando di conoscerne le idee, i progetti e gli interventi concreti per decisioni importanti.
Anche la Chiesa è un’istituzione, per cui le si riconosce il diritto di strutturarsi in forma piramidale. Una bella piramide che abbonda al vertice di meravigliose presenze, mentre alla base si muove una moltitudine informe che solennemente viene chiamata “Popolo di Dio”, “Comunità dei battezzati”, “Famiglia”, “Fedeli”…
A differenza di altre istituzioni, la Chiesa cattolica ha il privilegio di essere stata istituita da Dio, il che comporta una investitura del capo e dei membri a lui più vicini espressa e voluta direttamente dallo Spirito Santo. Il popolo, in questa situazione di non responsabilità, è chiamato a compiere un atto di fede pulito, totale e generoso nei confronti delle verità che si propongono, della dottrina che si esprime nei documenti, dell’interpretazione della Sacra Scrittura… e perfino nei confronti delle problematiche che nelle soluzioni prevedono una diversità di pareri.
Per noi cattolici questa è una posizione di prestigiosa comodità, perché la verità sarà sempre e comunque dalla nostra parte, anche se, per delicatezza nei confronti di chi la pensa diversamente, facciamo finta di ragionare ai fini di costruire un “dialogo” da cui sempre e comunque usciremo vincitori.
Nelle normali democrazie è la maggioranza che conta, nella Chiesa cattolica la maggioranza, cioè il popolo, cioè la base non conta un bel nulla. Ed è giusto che sia così. Sappiano, perciò, quei laici cattolici innamorati del Concilio, che “Cristo è sempre lo stesso, oggi come nei secoli passati”; mentre “lo Spirito ha accompagnato la Chiesa anche prima dello stesso Concilio”. E se Gesù “ha obbedito” al Padre, i fedeli non possono esimersi almeno dal provarci. L’ascolto che deve essere “reciproco”, non può prescindere dal magistero ecclesiale che è unico.
Nella Chiesa la “reciprocità” nell’ascolto c’è tutta ed è importante, ma, per favore, che non prescinda. Come dire: “Parla pure, figliolo, sappi, però, che alla fine di tutto sarò io ad avere ragione”.
Lo scandalo non sta nel pretendere che i fedeli seguano coerentemente gli insegnamenti di Cristo, ma nel propagandare un tipo di “dialogo” che del dialogo ha solo la parvenza.
Cos’altro di interessante potrebbero fare i vescovi riuniti nell’emiciclo della Cei? Ho la vaga sensazione che impegnino gran parte del loro tempo a parlare di soldi, di quale uso fare dell’otto per mille, di come incoraggiare le raccolte per il sostentamento del clero, di come finanziare i propri mezzi di comunicazione, del modo come intrappolare i politici, anche se non cattolici, per non tremare dinanzi ad una eventuale revisione del Concordato.
Non ci sarebbe nulla di scandaloso, invece, se un sacerdote qualsiasi potesse un bel giorno ricevere per posta, oltre alle solite carte inutili, anche una relazione dettagliata degli interventi fatti dai singoli prelati nell’ultima loro Assemblea!... Che bello sarebbe!… Pensate, ciascun sacerdote (o fedele) potrebbe con curiosità cercare il nome del proprio vescovo tra quelle carte e riconoscere in quel che dice qualcosa che appartiene anche alla sua esperienza.