Dopo aver chiarito la scorsa settimana, rispondendo alle domande poste in un quesito, che la tassa di successione in Italia la paga soltanto chi, essendo erede, riceve una quota di eredità superiore ad un milione di euro e che la paga solo sulla parte eccedente tale “franchigia”, rispondo all’ultima domanda che era stata posta: “Lei pensa che sia giusta questa imposizione patrimoniale?”.
CENNI STORICI
Il prelievo sulle successioni nacque nel 1704 in Francia, dove il compenso per l’imposta di registro, dovuto per il servizio di autenticazione e datazione dei testamenti, fu trasformato in un’imposta sulle quote ereditarie differenziata per grado di parentela. Dall’inizio del 1800, una tassa sulle successioni fu applicata nel “Regno d'Italia napoleonico”, che nel 1812 comprendeva buona parte dell’Italia settentrionale e centro-orientale, fino alle Marche. Dopo la Restaurazione, rimase un’imposta conformata a quella francese in sei dei sette Stati preunitari. Il prelievo subiva comunque una riduzione (in alcuni casi l’esenzione) per i trasferimenti in linea retta Solo nel Regno delle Due Sicilie, venivano riscossi lievi diritti fissi sui testamenti, senza alcun prelievo sulle quote ereditarie. Dopo l’unità, la tassa di successione, introdotta (subito dopo) con legge 21 aprile 1862 n. 585, fu estesa a tutto il Regno ed ebbe come obiettivo non solo di perequare tra le varie province il carico del tributo, ma anche di trarre un più consistente introito per l'Erario. Dall’Unità d’Italia a oggi, in materia di tassazione dei beni ereditari, si sono succeduti numerosi provvedimenti (circa 70). Alcune leggi di maggior rilievo meritano di essere citate. Con la legge del 23 gennaio 1902, n. 25, divenne un’imposta progressiva per scaglioni, con aliquote crescenti in funzione del valore delle singole quote ereditarie. Progressività ulteriormente accentuata dalla legge del 1914 (R.D. n. 1042 del 27 settembre 1914), che ha sostituito il sistema progressivo per scaglioni con il sistema di progressione pura per classi con un aumento delle aliquote d’imposta previste per le singole quote; ma con una importante novità: la sua eliminazione per tutte le quote di valore inferiore a 100 lire, se devolute ai parenti in linea retta e al coniuge. La prima raccolta legislativa organica in materia d'imposta sulle successioni fu rappresentata dal R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270, in base al quale, “il trasferimento di ricchezza a causa di morte, anche presunta, o per assenza dichiarata” (e così pure la donazione), fu soggetto a due imposte distinte, benché collegate tra loro, entrambe progressive: l'una colpiva l'asse ereditario globale netto; l'altra era considerata la normale imposta di successione, che colpiva le singole quote ereditarie.
LEGISLAZIONE RECENTI
In tempi più recenti, l’imposta sulle successioni e donazioni fu prima disciplinata dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637, poi sostituito dal Testo Unico approvato dal D. Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, in vigore dal 1° gennaio 1991. Sostanzialmente stabilivano due imposte distinte. La prima si applicava per scaglioni di imponibile sul valore globale e la dovevano pagare parenti in linea retta e coniuge e chiunque ricevesse quote di eredità. Altri parenti, che non fossero figli e coniuge, venivano tassati con un’imposta aggiuntiva su ciascuna quota, con aliquote differenziate per fratelli e sorelle e altri parenti fino al quarto grado. Di punto in bianco, con la legge n. 383 del 18 ottobre 2001 l'imposta sulle successioni e donazioni è stata addirittura soppressa. Fu poi reintrodotta con l'articolo 2 del D.L. n. 262 del 2006, convertito dalla legge n. 286 del 2006, ma con significative e vantaggiosissime modifiche anche per i grandi patrimoni, lasciati da persone benestanti e ricche. Tanto per avere un termine di paragone, nei “favolosi anni ’70 - ‘80”, quando ancora il debito pubblico non faceva notizia, la quota esente (franchigia) era prevista per i patrimoni al di sotto dei 20 milioni di lire, corrispondenti a 10.330 euro. Adesso 1 milione di euro. Non sull’intero patrimonio, come allora, ma per singola quota. Chi ereditava un miliardo di lire (516.457 euro), con un’aliquota allora prevista del 31%, (tabella allegata al Dpr 637/72) restituiva allo Stato 310.000 milioni. Adesso non si paga nulla ereditando il doppio! Bisogna ammettere che allora la tassa era un po’ troppo penalizzante per tutti. La pagavano anche i “quasi poveri”, se vogliamo considerare poveri coloro che non lasciavano nessuna eredità, adesso non la pagano neppure i ricchi con patrimoni plurimilionari (se a beneficiarne sono più eredi!). In conclusione, nel nostro Paese, sono molto omaggiati ricchi e benestanti e la tassa di successione ha un gettito minimale. La situazione difficilmente cambierà, perché paradossalmente la propensione a non adeguarla, riducendo ragionevolmente la franchigia e accentuandone la progressività, fa breccia anche su coloro che non posseggono o non riceveranno beni e avrebbero tutto l’interesse ad un sistema fiscale più equo e redistributivo. Al di là della posizione che ciascuno può legittimamente avere sull'imposta di successione, si deve ammettere che quello delineato è uno scenario di grave disuguaglianza, contrastante con il principio sancito chiaramente dalla Costituzione secondo cui “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” (art. 53). Tassare in maniera rilevante lavoro e pensioni e non tassare progressivamente i patrimoni e la ricchezza che superano una certa soglia è sicuramente una violazione sostanziale del principio costituzionale.
LA RISPOSTA DI DRAGHI
Le forze politiche, anche quelle di sinistra costrette (per loro incapacità e inettitudine?) a sostenere il governo insieme a quelle di destra, neppure osano sfiorare l’argomento. Del resto, tutti ricordiamo come, nel maggio del 2021, è stata accolta la proposta di Enrico Letta di intervenire sui “grandi patrimoni devoluti per successione”, per garantire una dotazione di 10.000 € destinata a formare i diciottenni. Misura limitata, come affermato, ai “lasciti superiori ai 5 milioni di euro”. è bastato chiedere una infinitesima offerta (trattandosi d plurimilionari non si può dire un sacrificio!), riguardante di fatto una quota di popolazione milionaria pari all’1% del totale, per sentire il solito ritornello: “La sinistra vuole mettere le mani nelle tasche deli Italiani”. Cosa ha fatto Mario Draghi? Davanti ad una delle prime turbolenze del suo governo non ha trovato risposta migliore di quella che segue: “Questo non è il momento di chiedere i soldi ai cittadini ma di darli”. Una risposta sbalorditiva se si considera che la proposta riguardava patrimoni di 5 milioni di euro. Forse in quel momento avrà pensato alle numerose famiglie in difficoltà per la pandemia; a quelle che aiutano i figli senza lavoro e che faticano ad arrivare a fine mese; a quelle che non riescono a pagare l’affitto e le bollette. Giusto e sacrosanto non chiedere soldi a queste famiglie e dare un aiuto (ma sempre a debito?). In effetti, però, Draghi non ha pensato che ci sono altre le famiglie ricche e agiate (come la sua!) con patrimoni ingenti. Non ha pensato a tutte quelle situazioni di agio economico. Famiglie che vivono in ville prestigiose, magari con seconde e terze case, con conti correnti bancari pesanti e investimenti consistenti. Ricchezze molto spesso accumulate “illecitamente” o negando sacrosanti diritti ai lavoratori. Non ha pensato che anche in questo caso i figli, al momento di ereditare, potrebbero non versare neppure un euro allo Stato, considerata la franchigia ad un milione di euro (per quota e non sull’intero patrimonio!).
BILL GATES E AMERICANI
Bill Gates terzo uomo più ricco al mondo, ha lanciato dal suo blog (gatesnotes.com) un appello dicendo “Io credo che il ricco debba pagare più tasse di quanto non ne paghi attualmente”. Sostenendo che il problema è quello della disuguaglianza fiscale, ha scritto: “Dobbiamo adeguare il sistema di tassazione ai tempi in cui viviamo e costruire un sistema più sano e più equo per tutti”. Ritenendo necessario spostare la maggior parte del carico fiscale sul capitale, piuttosto che sul lavoro ha aggiunto: “Sono per un sistema fiscale in cui, se hai più soldi, devi pagare una percentuale più alta di tasse”. Nel febbraio del 2001, dopo l’abolizione della tassa di successione decisa dal presidente Bush, 120 miliardari americani acquistarono, a loro spese, una pagina intera del New York Times per protestare contro questo regalo fiscale dicendo che: “Togliere la tassa sulla successione arricchirebbe gli eredi dei miliardari, mentre renderebbe la vita ancora più difficile alle famiglie che fanno fatica a sbarcare il lunario”. A loro giudizio “chi, senza merito, eredita una grande fortuna deve ridistribuire socialmente attraverso la tassazione una parte di quella ricchezza”. Anche Paul Krugman, Premio Nobel per l’economia 2008, ha sostenuto di essere disposto a pagare più tasse per avere una società più equa. Penso di aver risposto alla domanda sia pure “indirettamente”.
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