È reato chiedere denaro minacciando la rottura della relazione

Altre Notizie

Pretendere denaro dalla compagna, prospettando la fine della relazione sentimentale nel caso la richiesta non venga soddisfatta, assume la valenza di un “ricatto affettivo”. La Cassazione ha confermato e reso definitiva la condanna per il reato di estorsione di un uomo, che chiedeva denaro alla convivente con atteggiamento ricattatorio e violento, mettendola in uno stato di soggezione.

LA VICENDA

Un uomo chiede in continuazione soldi alla propria compagna, tenendola in uno stato di soggezione con insistenti minacce e vessazioni di varia natura, tra cui l’avvertimento dell’interruzione del rapporto nel caso di sospensione dei versamenti di denaro. Quando l’esasperazione, per la situazione ricattatoria e i comportamenti violenti, ha fatto superare il limite della sopportazione, la donna manifesta l’intenzione di allontanarsi e denuncia il compagno prospettando la situazione ed allegando anche gli screenshot dei messaggi che lui le inviava, con le richieste di soldi che, se non soddisfatte, avrebbero portato alla rottura del rapporto tra i due. 

L’uomo viene condannato. dal Gup del Tribunale di Rovigo per il reato di atti persecutori (stalking) ed estorsione. 

Propone appello, ma la Corte di Appello di Venezia con sentenza del 3/05/2023, conferma la decisione di condanna emessa dal primo giudice.

È il caso di ricordare che il reato di estorsione prevede la reclusione da 5 a 10 anni e la multa da 1.000 a 4.000 euro per “chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”

Per il reato di stalking, che si configura quando “taluno pone in essere una condotta reiteratamente molesta o vessatoria ai danni della vittima”, la pena prevista è la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi.

RICORSO IN CASSAZIONE

Nel ricorso in Cassazione, i legali dell’imputato contestano l’utilizzo della messaggistica WhatsApp e di vari social come fonte di prova in quanto acquisiti senza un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria. 

Sostengono anche che la coppia era solita esprimersi con un linguaggio contraddistinto da una “forte violenza verbale”, tale da dover far ritenere le dazioni assolutamente spontanee, in assenza di qualsiasi costrizione e della prospettazione di un male ingiusto.

Quindi, “ogni dazione effettuata doveva ritenersi pienamente frutto delle sue libere determinazioni”; ovvero la conseguenza di richieste di prestito con l’impegno alla restituzione.

Pertanto doveva escludersi che “la parte offesa potesse considerarsi oggetto di ricatto piuttosto che soggetto vulnerabile o in totale sudditanza psicologica”.

Inoltre, la minaccia estorsiva, stando ai legali, “non poteva ravvisarsi nella prospettazione della rottura sentimentale, priva dei connotati del ricatto affettivo, a fronte, peraltro, dell’affermato intento della donna di allontanarsi dall’imputato”. 

SENTENZA DELLA CASSAZIONE

La Cassazione penale, con la Sentenza n. 12633 depositata il 27 marzo 2024, preliminarmente ricorda che la minaccia costitutiva del delitto di estorsione oltre che essere esplicita, palese e determinata, “può essere manifestata anche in maniera indiretta, ovvero implicita ed indeterminata, purché sia idonea ad incutere timore ed a coartare la volontà del soggetto passivo, in relazione alle circostanze concrete, alla personalità dell’agente, alle condizioni soggettive della vittima ed alle condizioni ambientali in cui opera”.

Quindi, la decisione di porre fine a una relazione sentimentale può trasformarsi in uno strumento di ricatto, quando non si manifesta come espressione di una scelta libera ma assume, invece, una connotazione minacciosa. 

Ciò avviene nel momento in cui la prospettiva della rottura viene utilizzata non per esprimere un desiderio personale di distacco, ma per costringere l’altra parte a compiere o a omettere atti contro la propria volontà.

La contestazione circa l’informale acquisizione della messaggistica utilizzata come fonte di prova non è stata ritenuta meritevole di accoglimento in quantonon vi è stata un’acquisizione del contenuto dei messaggi telefonici scambiati tra le parti ad opera della polizia giudiziaria, bensì una produzione degli stessi da parte della persona offesa”

Viene pure precisato che i messaggi conservati nella memoria del telefono “hanno natura di documenti ex articolo 234 c.p.p., sicché la loro acquisizione è legittima mediante mera riproduzione fotografica, non potendosi applicare né la disciplina delle intercettazioni né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza, non trovandosi in presenza di un flusso di comunicazioni in corso, bensì della semplice documentazione ex post di tali flussi”

Sul fatto che foto, filmati, screenshot e simili, siano documenti, “la suprema Corte si è già espressa recentissimamente con la sentenza 10378/2024”

Con riferimento al contenuto della messaggistica, “esso evidenzia la condizione di assoggettamento e sudditanza psicologica che il reiterato comportamento dell’imputato ha ingenerato nella persona offesa”

Il fatto che i due avessero concordato, nell’ambito del loro ménage, un’interlocuzione dai toni spinti, “nulla ha a che vedere con le pesanti offese, gli insulti, le minacce di morte, il disprezzo e la minaccia di interrompere la relazione in caso di mancato versamento delle ingenti somme richieste”

Infatti, i versamenti sono stati chiesti con toni aggressivi e minacciosi, larvati e subdoli, incutendo timore e coartando la volontà della vittima, essendo emersa nel corso dei procedimenti l’ulteriore circostanza che “le dazioni sono state effettuate per soddisfare l’esigenza della persona offesa di salvaguardare la propria incolumità”.

Di tutta evidenza, quindi, che le consegne di denaro non sono mai stati una libera scelta della donna, “con la conseguenza che anche l’intimazione della rottura di una relazione sentimentale ben può assumere valenza minacciosa allorché, lungi dal rappresentare la manifestazione di una propria libera scelta, costituisca espressione di ricatto”. 

Per gli esposti motivi il ricorso è stato annullato e la sentenza di condanna confermata.