Ultimo aggiornamento:  29 Ottobre 2022

I messaggi WhatsApp hanno valore documentale in un processo

Le conversazioni tenute sulle piattaforme messaggistiche possono assumere valore probatorio nel mondo giudiziario, se utilizzate in conformità alle disposizioni normative che disciplinano il processo. Molti utilizzatori delle chat più popolari come WhatsApp e Messenger disconoscono il fatto che anche la messaggistica istantanea online, può costituire prova in un processo penale. Tant’è che non poche condanne per diffamazione, per violenza privata o stalking, derivano da “prove elettroniche”, costituite da post con offese, intimidazioni, sopraffazioni, minacce e vere e proprie forme di persecuzione, formulate con lo smartphone e poi lasciate in chat. 

LE CHAT NEL PROCESSO PENALE

Nel nostro tempo, gran parte della abituale attività quotidiana di informazione e comunicazione si basa sull’utilizzo delle innovative tecnologie informatiche e digitali. La conseguenza di tutto ciò è che si lasciano, soprattutto sulle piattaforme messaggistiche, una quantità di riscontri digitali, tanto che le prove fatte valere nei tribunali sono sempre più spesso di tipo elettronico. Questo accade in particolare nell’ambito dei processi penali, dove nessuno più nega la crescente importanza e il valore probatorio della cosiddetta “prova elettronica”, definita anche con la locuzione “prova digitale”. La prova elettronica ha acquistato crescente importanza e ancora più peso in considerazione del fatto che sempre più spesso il crimine assume un aspetto “globale”, rendendo inattuale e superato il principio della territorialità dell’azione penale.  Il riconosciuto valore probatorio dei messaggi nel processo penale è un argomento di notevole rilievo e interesse giuridico. Come ribadito più volte dalla Cassazione, i messaggi WhatsApp, sono prove documentali ai sensi dell'articolo 234 del Codice di procedura penale e come tali utilizzabili in giudizio. Il suddetto articolo infatti prevede che “è consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo”.

LE CHAT NEL PROCESSO CIVILE

Per quanto riguarda le chat nel processo civile, l’articolo 2712 del Codice civile dispone che “Le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”. Ed ancora l’articolo 2719 sancisce “le copie fotografiche di scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche, se la loro conformità con l’originale è attestata da pubblico ufficiale competente ovvero non è espressamente disconosciuta”. Tuttavia, c’è da notare che nel processo civile vige il principio di “tipicità della prova” e che il codice di procedura civile non è mai stato aggiornato con l’inserimento dei nuovi strumenti tecnologici tra i mezzi di prova. Sicché il contenuto delle chat, equiparato a mera “riproduzione meccanica”, si può considerare una prova documentale solo se non contestato dall’avversario. Per evitare che il ricorso a tale stratagemma, rendesse inutilizzabile qualsiasi documento informatico e telematico, la giurisprudenza più recente ha stabilito che non basta solo opporsi ma bisogna anche chiarire le ragioni per cui il documento sarebbe inattendibile. La contestazione dell’avversario deve essere “credibile” e non basata una semplice affermazione di principio. In altri termini, per affermare che il documento prodotto in giudizio non è valido, non basta sollevare l’eccezione ma bisogna anche renderla credibile con elementi oggettivi o con indizi. È stata così aperta una porta attraverso cui documenti informatici e stampe di chat (come le email tradizionali) hanno acquistato rilevanza. Ne consegue che, anche nel giudizio civile, la copia cartacea o digitale di un documento informatico costituisce una “riproduzione meccanica” con valore probatorio, salvo contestazione motivata della controparte.

ULTIMA VICENDA PROCESSUALE

Nella più recente vicenda di condanna basata su messaggi WhatsApp, motivo ispiratore dell’articolo sul valore probatorio delle chat, un imputato viene condannato in primo e secondo grado per il reato contemplato dall’articolo 493 ter del Codice penale (indebito utilizzo di strumenti di pagamento diversi dai contanti).  L'imputato, nell'impugnare la sentenza ricorrendo in Cassazione, solleva quattro motivi ritenuti dai giudici di legittimità infondati. Tra questi, “l’inutilizzabilità dei messaggi WhatsApp prodotti, stante l’assenza dell'apparecchio e la estrazione irrituale”. In merito all'utilizzo di tali messaggi, oggetto della testimonianza resa dalla persona offesa, la suprema Corte, con la sentenza n.39529, depositata il 19/10/2022, afferma che la Corte di Appello si è attenuta con scrupolo a quanto affermato con continuità dalla giurisprudenza di legittimità, ossia che: “in tema di mezzi di prova, i messaggi "whatsApp" e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell'art. 234 cod. proc. pen., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all'acquisizione di corrispondenza di cui all'art.2 54 cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 1822 del 12/11/2019).” Facendo riferimento ad altra precedente decisione così proseguono i giudici “il testo di un messaggio sms, fotografato dalla polizia giudiziaria sul display dell'apparecchio cellulare su cui esso è pervenuto, ha natura di documento la cui corrispondenza all'originale è asseverata dalla qualifica soggettiva dell'agente che effettua la riproduzione, ed è, pertanto, utilizzabile anche in assenza del sequestro dell'apparecchio (Sez. 1, n. 21731 del 20/02/2019)”

COME PRODURRE LE CHAT IN GIUDIZIO

Le chat WhatsApp, per avere valore legale, è necessario che siano acquisite al processo rispettando determinate regole e modalità indicate dalla giurisprudenza. Il messaggio può fare ingresso all’interno del processo, e quindi assumere valore di prova, anche mediante la diretta acquisizione del cellulare contenente il messaggio. In questo caso, la sua trascrizione andrà a svolgere una funzione meramente riproduttiva del contenuto della prova documentale (Cass. pen. sez. II, n. 50986 del 06/10/2016; Cass. pen. sez. V, n. 4287 del 29/09/2015). Nell’impossibilità di far acquisire lo smartphone, la giurisprudenza ha indicato altre vie per produrre in giudizio i messaggi. Il modo più agevole è lo screenshot del display del dispositivo stampato ed allegato al fascicolo processuale o, in alternativa, depositando una penna usb che lo contiene. Oltre agli screenshot delle conversazioni, i messaggi potrebbero entrare nel processo come testimonianza, di una persona che abbia letto i messaggi e che riferirà davanti al giudice sul contenuto di quanto ha letto personalmente. Altra possibilità sarebbe quella di procurarsi una perizia giurata di parte, di un perito tecnico iscritto negli elenchi dei consulenti del tribunale, attestante l’autenticità del contenuto delle chat. Tale modalità consente la trascrizione e certificazione di eventuali messaggi vocali. Quest’ultima soluzione offre maggiore certezza rispetto alla semplice produzione dello screenshot.

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