La fine della Storia? Il decennale di Memoria ‘900

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Pubblichiamo di seguito l’intervento del prof. Marco Nocca, elaborato per “Memoria 900”

Adriano Prosperi, in un suo libretto presso Einaudi, “Un tempo senza storia”, che richiama Fukuyama, e il suo “La fine della Storia”, scrive: “Si moltiplicano i segnali d’allarme sulla perdita di memoria collettiva e di ignoranza della nostra storia. Nella realtà italiana di oggi c’è un passato che sembra dimenticato. E il peso dell’oblìo è qui forse più forte che altrove. Ma che cosa significa liberarsi dal peso del passato?” Una domanda opportuna a cui tentare di rispondere, in un consesso come questo, che celebra un’associazione che propone la parola “memoria” nel suo nome. Siamo qui tutti insieme per celebrare il decennale di un’associazione che ha nei suoi fini istituzionali più alti la conservazione e la trasmissione ai giovani delle vicende salienti del Novecento, che a dispetto di chi l’ha definito il secolo breve, sembra, nel riproporsi delle dinamiche belliche, allungarsi ben oltre i suoi termini cronologici, arrivando nelle drammatiche conseguenze all’oggi. Ciascuno dei relatori che mi hanno preceduto, la Presidente dell’Associazione, i soci membri: qui tutti dimostriamo di volerci tenere profondamente in contatto con la Storia, Alcuni di noi nel loro lavoro quotidiano, esercitando un mestiere basato sulla ricerca, traggono spunti originali dalla documentazione d’archivio che studiano, elaborano personali interpretazioni dei documenti storici, cercano al contempo di educare i giovani, ritenendo il passato un orizzonte ineliminabile non solo dalla loro vita, ma, io credo, anche dalla loro giornata, in cui le occupazioni (lo studio, la ricerca) si indirizzano a quello scopo. Perché, dunque questa prospettiva, dell’analisi del passato, è considerata con tanto discredito inutile, qualcosa di cui bisogna liberarsi, un rifiuto da gettare, al punto da meritare quasi l’irrisione di chi non la condivide? Guardiamo come si trasmettono le informazioni, nel sistema di comunicazione odierno, nella cosiddetta rete. Molte notizie non passano al vaglio di alcuna verifica. Possiamo dunque accettarle come veridiche, possiamo solo intuire che non lo siano: ma per averne certezza dobbiamo noi stessi fare una ricerca sulle fonti, come fanno i giornalisti seri prima di pubblicare una notizia. I propagatori di fake news ragionano infatti grazie ad un algoritmo che valuta il margine di credibilità in relazione a quello che i sociologi chiamano l’orizzonte di attesa. E’ vero ciò che sembra credibile, è vero ciò che soddisfa un’aspettativa creatasi, anche artificialmente. Inutile verificare. Molte cose, dunque, nella melma dei social, si impongono come vere, senza alcun riscontro. Questo atteggiamento mina dalle fondamenta il principio di base del metodo storico, che assomiglia molto all’indagine giudiziaria, e come essa teme le deduzioni sommarie, i processi mediatici. Su che cosa si basano ambedue? L’accertamento dei fatti, restituito da precisi eventi, o sequenze di eventi, in cui sia possibile stabilire nessi causali grazie a prove irrefutabili. Così funziona la mente di uno storico, come credo quella di un investigatore. Le fonti d’archivio, quelle visive, a cui il secolo appena trascorso ha aggiunto i formidabili strumenti di fotografia, cinema televisione video, e ora il digitale, le testimonianze di persone viventi: tutto quanto proposto da Memoria Novecento oppone una barriera a questo oblìo -che si avvia a diventare “normale” nell’eterno presente imposto dalla società liquida- permette la ricostruzione di nodi epocali nella storia della città, promuove la riscoperta di protagonisti dimenticati, di microstorie legate alla più grande prospettiva della storia nazionale, con un lavoro di ricerca e scavo nelle miniere delle fonti, che estrae generosamente notizie o immagini di fatti avvenuti, ne favorisce la conoscenza ai giovani, dunque il passaggio del testimone alle generazioni che si avvicendano. Fatti, eventi, personaggi (tra cui trascurate figure di donne) tornati alla luce, in questi dieci anni di vita dell’associazione hanno avviato gli studenti, a partire dagli scolari delle elementari (interlocutori privilegiati di Memoria 900), al metodo storico, sottoponendo loro documenti originali, ed educandoli all’interpretazione. Hanno fatto rientrare la memoria di quei fatti nell’oralità, oltre che nella scrittura, stimolando il gusto del racconto. Il Passato, quello della nostra storia recente, in particolare, riacquista, in questa prospettiva, il giusto peso, Un grande storico dell’arte del Novecento, Aby Warburg, ha chiamato Mnemosyne l’ atlante visivo delle immagini prodotte dalla cultura occidentale, dai primordi della civiltà al XX secolo. L’immagine si rivolge alla vista, ha una potenza di fuoco strabiliante: si deposita nella memoria con una pregnanza ancora maggiore del racconto, svolto dalla parola Lo studio delle immagini è affare quotidiano di chi si occupa per mestiere del Passato, e il Novecento, con la definitiva affermazione della fotografia, del cinema, della televisione (ora, del digitale) ha completamente trasformato le discipline storiche: ha messo a disposizione, accanto alle fonti scritte, sterminate miniere di testimonianze visive. In questo spazio si è svolto anche il lavoro di Memoria 900 contro l’oblìo, PER la trasmissione della Storia, in particolare dell’ultimo secolo, come dicevamo -a dispetto della definizione di Hobsbawn- lunghissimo, ricollocando sotto i riflettori, insieme ai preziosi racconti orali, svolti con interviste a testimoni ancora viventi (mi viene in mente il pregevole lavoro svolto per il documentario sulla Seconda Guerra Mondiale, che terribilmente devastò la nostra città), anche un patrimonio di immagini, spesso provenienti da archivi privati. Alla corretta decifrazione di queste ultime, in particolare, i giovani, che dai diversi strumenti elettronici sempre accesi ne sono sommersi quotidianamente, debbono essere educati, e Memoria 900 si è assunto un impegno di divulgazione, non scindendolo mai dal dovere etico di una corretta trasmissione a loro rivolta, a partire dai piccoli delle elementari. Nel film “L’altra metà della Storia” (Ritesh Batra, Gb, 2017), tratto dal romanzo di Julian Barnes “The sense of an ending” (2011), uno studente di Oxford, interrogato dal professore su Enrico VIII, risponde: “Al tempo di questo sovrano qualcosa è accaduto”, rimanendo poi in silenzio di fronte alle ulteriori sollecitazioni dell’insegnante. E anche se possiamo in parte condividere gli argomenti addotti poi da quel giovane brillante per giustificare il suo ostentato tacere, e una conclusione così lapidaria (“la Storia è la certezza che si consolida nell’incontro dell’imperfezione della memoria con l’inadeguatezza della documentazione”), noi vogliamo attenuare questo scetticismo. E ringraziare quindi Memoria 900, che ha ricomposto con un grande lavoro, grazie anche a donne e uomini che, lottando contro la fine della Storia, si pongono come centrale il problema del Passato, il valore delle testimonianze dirette, pazientemente raccolte, così determinanti per il Novecento non da molto trascorso: ignorando le quali, davvero non ci è dato sapere nulla.