La sentenza dello scandalo: l’ansia da Covid si deve considerare per attenuare la pena?
Molte polemiche e qualche turbamento ha suscitato una sentenza della Cassazione penale che avrebbe annullato l’ergastolo ad un assassino stressato dal Covid.
La vicenda è quella dell’infermiere Antonio De Pace che nel 2020 uccise la fidanzata Lorena Quaranta e poi tentò il suicidio prima di avvertire i carabinieri e confessare il delitto.
L’imputato, in preda ad uno stato di forte angoscia, inquietudine ed agitazione legato alla situazione pandemica, dopo aver tentato di allontanarsi da casa ed essere stato convinto a tornare dai familiari della ragazza, ha aggredito mortalmente la fidanzata al culmine di una lite.
Condannato in primo e secondo grado all’ergastolo per omicidio volontario (aggravato dalla commissione del fatto contro persona a lui legata da stabile relazione affettiva e con lui convivente), l’uomo ha presentato ricorso in Cassazione contestando, tra l’altro, il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Giornali e tv hanno gridato allo scandalo, suscitando anche le ire di parenti e amici della ragazza uccisa, perché la Cassazione ha “annullato l’ergastolo”.
Perfino Il Sole 24 Ore ha titolato: “Covid, sentenza shock: stressato da pandemia, annullato ergastolo per femminicidio”.
C’è da rimanere sbalorditi nel constatare come attraverso titoli ingannevoli che travisano e falsificano la realtà e con la creazione di notizie fittizie per speculazione di parte, vengano additati al disprezzo giudici che magari hanno fatto bene e con scrupolo il loro lavoro.
Sembrerebbe che nessuno si sia premurato di leggere la sentenza, perché, in realtà, la Cassazione non ha annullato l’ergastolo e non ha stabilito che le circostanze generiche devono essere necessariamente applicate. Il giudice del rinvio sarà libero di dimostrare la mancanza di elementi da valutare positivamente ai fini del riconoscimento del beneficio e tutto resterà come prima.
Il fatto grave e che diversi esponenti politici in modo superficiale e disinformato abbiano dato credito ai titoli scandalistici di giornali o agenzie per parlare di giudici che “giustificano” gli autori di “brutali delitti di omicidio”.
A parte i molti rappresentanti della destra che hanno distorto il contenuto della sentenza ed hanno invocato la forca per l’assassino, anche tra gli esponenti della sinistra, c’è chi considera la sentenza “terribile” (deputata De Biase), come chi si è mostrato preoccupato perché “così non si abbatterà mai l’infrastruttura ideologica e culturale del patriarcato che alimenta la violenza maschile sulle donne” (Luana Zanella, capogruppo di Avs alla Camera).
COSA PREVEDE LA LEGGE
L’articolo 62 del Codice penale, prevede una serie di “circostanze attenuanti speciali” (non è questo il caso) che attenuano il reato, quando non ne siano elementi costitutivi.
La sentenza si inserisce nel quadro normativo relativo alle “circostanze attenuanti generiche” previste dall’articolo 62-bis, il quale prevede che “il giudice, indipendentemente dalle circostanze previste nell’articolo 62, può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena”. C’è da dire ai politici che si sono scandalizzati che la norma non vieta di riconoscerle anche a chi merita l’ergastolo per aver commesso un orrendo delitto.
Quindi i giudici devono valutare se riconoscerle o meno. Se la legge ne vietasse il riconoscimento il problema non si porrebbe.
A proposito delle circostanze attenuanti generiche, richieste (se non pretese!) dai difensori degli incensurati, e l’imputato lo era, la giurisprudenza ha chiarito:
- che non è sufficiente il solo fatto di essere incensurato. Infatti l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche “non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi che connotano la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimante deriva il diniego di concessione delle stesse”. (sentenza Cass. Pen. n. 23298/23; Cass. Pen. n. 24128/2021; Cass. pen., 15/1/2018);
- per concedere o negare le attenuanti generiche il giudice può limitarsi a valutare anche un solo elemento ritenuto prevalente (Cass. pen. Sez. 2, n. 23903/2020);
LA SENTENZA DELLO SCANDALO
La Cassazione, confermando la condanna, accoglie soltanto il terzo motivo del ricorso in cui viene eccepito che “il diniego delle circostanze attenuanti generiche è sorretto da motivazione apodittica, che non tiene conto della condizione di profonda agitazione ed angoscia nella quale egli ha agito ed è frutto dell’estrapolazione di frammenti di fatto che, nell’insieme, offrono una lettura distorta della dinamica omicidiaria”.
Viene, in particolare, segnalato che “la ricostruzione operata, al fine considerato, dalla Corte di assise di appello poggia sul fallace postulato secondo cui il delitto sarebbe avvenuto al culmine di una lite “furibonda”, in palese contrasto con le dichiarazioni della vicina di casa che udì voci e rumori”.
Infine viene pure evidenziato che, “i giudici di merito hanno erroneamente ipotizzato che egli, lungi dall’essere guidato dal terrore di essere contaminato dalla fidanzata, che egli supponeva affetta da Covid-19, o dalla convinzione di essere perseguitato dai congiunti della ragazza, abbia agito perché spinto da distinte, e non accertate, pulsioni”.
Secondo gli avvocati dell’imputato, la sentenza di condanna impugnata, ha omesso di considerare che “sulla tragedia ha fortemente inciso lo sconquasso psicologico che lo ha colpito ed al quale egli, in preda all’angoscia, ha provato a resistere “spingendosi al punto di attuare un piano di fuga, faticosamente rettificato nel disordinato tentativo di riassumere la contraddizione psicologica tra il vissuto – percepito reale – di persecuzione e delirio di contagio, e la restituzione di senso consegnatagli da parenti e vittima stessa”.
La suprema Corte, in merito al diniego delle attenuanti generiche, ha dovuto riconoscere i denunciati vizi logici nella sentenza della Corte di assise d’appello per:
- la mancata considerazione del contesto pandemico come fonte del disagio psicologico dell’imputato;
- la valutazione illogica del tentativo di allontanamento dell’uomo come inadeguato a fronteggiare lo stato di angoscia;
- l’aver omesso di considerare adeguatamente l’incidenza della situazione emergenziale sulla possibilità di attivare presidi psicologici e sanitari;
- l’aver sottovalutato il nesso tra lo stato emotivo e la condotta omicidiaria.
Per queste ragioni la Cassazione ha annullato la sentenza impugnata, limitatamente all’applicabilità delle attenuanti generiche, con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di assise di appello di Reggio Calabria.
I giudici del rinvio dovranno valutare se e in che misura la peculiare condizione psicologica dell’imputato, legata all’emergenza pandemica, possa giustificare un contenimento della pena.
Più precisamente: “limitatamente al diniego delle circostanze attenuanti generiche, della sentenza impugnata”, il giudice del rinvio dovrà procedere “ad un nuovo esame sul punto che, libero nell’esito, sia esente dai vizi riscontrati”.
La locuzione “libero nell’esito” sta a significare che se verrà adeguatamente motivato il diniego delle attenuanti non ci sarà nessuna riduzione di pena.
Nella mente di molti rimarrà il fatto che la Cassazione ha annullato l’ergastolo.