L’agricoltura per l’ambiente e la tutela della biodiversità

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Spesso molte persone, quando sentono parlare di tutela ambientale e difesa degli ecosistemi e degli equilibri che ne regolano e sostengono la stessa esistenza, comprendono o comunque intuiscono la necessità di una politica ecologica improntata alla difesa ed al rispetto dell’ambiente ed alla conservazione di tutte le sue specificità. Gli stessi si rendono conto del valore culturale, storico e paesaggistico di molti siti sulle cui aree non di rado contemporaneamente insistono un patrimonio archeologico e naturalistico. Il più delle volte, però, mancando una sufficiente conoscenza scientifica (a meno che non si sia in possesso di una adeguata formazione), non si ha una esatta idea circa il valore e l’importanza di fattori fondamentali come la biodiversità.

Quando si parla di ambiente dal punto di vista della capacità che esso ha di ospitare le varie forme di vita che spesso lo caratterizzano, bisogna correttamente distinguere due termini: biotopo e biocenosi. Con “biotopo” si intende il sito fisico (come il luogo geografico più o meno ampio con tutte le sue peculiarità orografiche, idrogeologiche e climatologiche che lo caratterizzano) che ospita tutto quel patrimonio di forme di vita (spesso altamente diversificate) rappresentante quel che appunto viene indicato come “biocenosi”. Chi ha alle proprie spalle sufficienti conoscenze in campo biologico (acquisite con gli studi o per particolare esperienza sul campo) sa bene, che anche gli ambienti naturali che possono apparire più poveri in quanto alla varietà di forme di vita che gli stessi ospitano, presentano di norma biocenosi estremamente ricche; anche le biocenosi batteriche e micotiche presenti nei terreni e nei siti umidi costituiscono delle straordinarie microbiocenosi fondamentali per la salute ed il corretto equilibrio di un intero ecosistema.

Quanto fin qui osservato si può riassumere dicendo che la biodiversità è un fattore fondamentale ed irrinunciabile per l’esistenza stessa della vita. Un territorio, inoltre, è caratterizzato da tre ordini di fattori di natura abiotica: fattori orografici, idrogeologici, climatologici. Questi sono fattori eminentemente fisici, come la conformazione del paesaggio con i suoi rilievi e vallate (fattore orografico); la disposizione geografica dei bacini lacustri, dei corsi fluviali e delle falde acquifere (fattore idrogeologico); l’esposizione alla azione eolica, alle precipitazioni atmosferiche ed alle escursioni termiche (fattore climatologico). Come insegna la stessa storia geologica della Terra, il fattore biotico, la biocenosi, con la sua sola presenza è in grado di influenzare e modificare gli stessi fattori abiotici. Così, ad esempio, la presenza di foreste ed aree boschive sufficientemente estese, oltre al consolidamento del terreno che può così essere protetto da fenomeni franosi o di erosione eolica o alluvionale, modifica l’aspetto climatico nel favorire fenomeni di piovosità, di mantenimento del grado di umidità ambientale ottimale, deprecando il pericolo di fenomeni siccitosi soprattutto sul lungo periodo.

L’Uomo, con le sue attività agricole ed industriali, con l’urbanizzazione di estese aree del territorio, con la stessa intensa attività di movimentazione di merci e persone a livello planetario, ha determinato un impatto antropico sullo stesso ambiente con le conseguenze che tutti noi conosciamo. Una attività antropica che per millenni ha insistito sugli ecosistemi, modificandone aspetto e caratteri, è senza dubbio l’agricoltura. Con l’esperienza di decine e decine di generazioni che si sono susseguite nell’arco dei secoli, l’Uomo ha imparato a domesticare, selezionare, migliorare nell’aspetto e nella resa le più svariate specie vegetali, da quelle erbacee agli alberi da frutto; ma lo sfruttamento intensivo dei terreni, lo sviluppo estensivo delle colture, il protrarsi dell’uso indiscriminato con l’emergere dell’industria chimica nello scorso secolo di pesticidi e fitofarmaci, tutto ciò ha portato ad un impatto ambientale ormai insostenibile. A ciò si aggiunga il vero e proprio depauperamento dei terreni provocato dalle monocolture estensive: in questo settore palma (soprattutto per l’olio), tabacco, mais e varie specie cerealicole giuocano un ruolo preminente. È ben noto che la tecnica della monocoltura è praticata da aziende multinazionali, loro consociate o affiliate e che le stesse hanno giuocato un eminente ruolo nella deforestazione di vaste aree dal Brasile al Borneo.

Quanto sopra esposto dovrebbe far comprendere a chiunque quanto importante sia invece il ruolo giuocato da una agricoltura sostenibile, rispettosa dell’ambiente e delle peculiarità dello stesso territorio; una agricoltura che ha cura della biodiversità e la promuove in ogni suo settore. Le ricerche condotte per lunghi anni dalla Ben Gurion University del Negev in Israele hanno dimostrato come si possano ottenere specie bioresistenti all’attacco di parassiti e di altri fattori avversi senza operare arbitrarie manipolazioni genetiche, quanto invece operando successive pazienti selezioni delle specie più adatte. La tecnica dell’inerbimento (sempre usata nell’Istituto israeliano) consiste nell’arricchire i terreni fra i filari dei vigneti, ma anche alla base di varie specie arboree e da frutto, con una miscela di sementi il cui sviluppo crea un tappeto verde capace di determinare un particolare microclima a livello del terreno, arricchendo quest’ultimo di nutrienti e mantenendo un livello di umidità ottimale evitando così la perdita di acqua per evaporazione, la quale generalmente caratterizza un suolo spoglio non ricoperto di vegetazione. Tutte queste tecniche, compresa la lungimirante creazione di banche genetiche (come conservazione di sementi di specie a rischio o di particolare interesse), sono ben note anche in Italia, dal momento che lo stesso Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (MASAF) in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) si è attivato in conseguenza anche del fatto che l’Italia aveva ratificato il Trattato Internazionale sulle Risorse Fitogenetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura già nel 2004, con la Legge 101 che coinvolge Regioni e Province autonome (Trento e Bolzano), dando così attuazione al trattato stesso.

Il MASAF ha così inoltre istituito un “Programma nazionale per la conservazione, la caratterizzazione, l’uso e la valorizzazione delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura” (Programma RGV/FAO), attuato dal Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi della Economia Agraria (CREA), in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e la Rete Semi Rurali (RSR). In questo panorama un compito eminente è stato il dare grande priorità al recupero, alla tutela ed alla valorizzazione della agrobiodiversità nell’ambito delle varie specie frutticole, orticole e cerealicole. Come in varie occasioni, si è avuto modo di osservare e render noto il programma, il quale, oltre al mantenimento ed al rinnovo delle collezioni ed alla conoscenza delle caratteristiche delle accessioni in esse custodite, ha tra gli obiettivi quello di ampliare la base genetica di svariate specie mediante la raccolta e l’acquisizione di materiale e quindi di promuoverne l’uso in maniera sostenibile: tutto ciò coinvolgendo gli agricoltori nel miglioramento genetico e nella reintroduzione di varietà locali nei sistemi agrari. In questo spirito si intende anche ricostruire la storia fitogenetica di un territorio, restaurandone in senso positivo e produttivo l’attività agricola tradizionale che ne caratterizza storia, cultura e peculiarità ambientali.

In tutto questo il CREA, già sopra menzionato, svolge una preziosa opera di ricerca e sperimentazione direttamente sul territorio: si tratta di un Ente con 12 centri di ricerca dislocati su tutto il territorio nazionale e con 29 sedi operative. I centri di ricerca reperiscono, conservano, caratterizzano e valorizzano le risorse genetiche vegetali (RGV), le quali costituiscono le collezioni fitogenetiche patrimonio del CREA per un totale di circa 40000 accessioni includenti 257 specie coltivate per l’alimentazione e 244 specie selvatiche affini.

Lucio Allegretti