L’Angolo dell’Arte: “DivinaMente”, Agostino de Romanis

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Sono giunto, all’appuntamento con Agostino de Romanis, trafelato e stanco. Avevo paura di non essere nella giusta disposizione d’animo per un incontro così importante e invece è stato sufficiente fare il mio ingresso nel laboratorio di Via Ulderico Mattoccia per essere letteralmente ammantato da una pace quasi irreale. Un luogo (meta)fisico in cui vi è commistione tra sacro e profano, redenzione, magia e spiritualità.
Un simulacro moderno ove il silenzio diventa tangibile e par quasi venga accarezzato solo dal lieve fruscio dei pennelli sulla tela, alla stregua di una melodia non ancora codificata che è anima e guida della creazione artistica.

De Romanis, vero e proprio maestro della pittura veliterno, mi accoglie con un sorriso caloroso e una gentilezza che riflette l’umiltà degli animi grandi. I suoi occhi, paiono traslucidi e brillano di una luce particolare.
La stessa che si traspone, immutata, nelle sue opere, dando vita ad un connubio di tonalità vivaci, forme fluide e una profondità che quasi ti ipnotizza e prendendoti per mano sembra invitarti soavemente ad esplorare ciò che esiste oltre il limite fisico della superficie.
Della tela.
Dell’anima.
Della vita.

Osservare le sue tele è stato come essere traslato in una dimensione interiore fatta di emozioni contrastanti: serenità e stupore, malinconia e speranza.
Ogni quadro è narratore di una favola, spesso celata sotto strati di colori trasparenti che si sovrappongono come veli.
Spesso latrice di inquietudine.
È impossibile non ritrovarsi catturati in una sottile rete luminescente capace di inglobarti nell’opera stessa come se tu, da osservatore, ne fossi divenuto parte integrante e non più distinguibile dall’originale.

De Romanis ha condensato moltissime peculiarità ed aspetti all’interno della propria figura artistica: pittore “colto”, pittore “animico”, pittore “scenografo”. Queste sono solo alcune delle definizioni che hanno provato a descriverne l’essenza senza mai riuscire a possederla tutta. Perché De Romanis è un taumaturgo della tela, un’anima inquieta ed errante in continua ricerca dell’afflato imperscrutabile della vita e della natura come parte non scissa dalla vita stessa.

Egli possiede ed utilizza un particolare linguaggio pittorico, che definisce quale “transrealismo”. Questo movimento, che egli stesso ha teorizzato, mira a superare la realtà visibile per esplorarne i livelli più intimi e reconditi. In tutti i suoi lavori esiste una mirabile giustapposizione di natura ed essere umano. In dialogo costante, alla ricerca perenne di una simbiosi poetica, caratterizzata da un forte legame con le origini e la tradizione italiana, ma sempre proiettata verso un futuro universale.

Tra i quadri che più mi hanno smosso emotivamente, c’è una serie dedicata agli elementi naturali dove acqua, fuoco, terra e aria si mescolano in una danza senza tempo. Lo stesso filo conduttore che lo ha portato a voler rappresentare la natura indonesiana. Terra con la quale De Romanis ha stretto un profondo legame ancestrale. Vittorio Sgarbi, riferendosi al suo ciclo “indonesiano”, parla di De Romanis quasi come di un santone capace di rappresentare su tela, l’anima della natura. Come se Bali lo avesse folgorato allo stesso modo in cui la Polinesia folgorò Paul Gauguin caratterizzandone la produzione artistica in maniera indissolubile e profonda. Nel ciclo “indonesiano”, De Romanis traspone su tela una vera e propria ritualità di gesti, vesti e pose. Una sacralità pagana che prende corpo ed anima il teatro del surreale. Osservando queste opere, ho sentito come un richiamo primordiale, un anelito a riscoprire l’intima connessione che ci lega alla realtà che ci circonda.

Nel corso degli anni, Agostino de Romanis ha esposto in numerose gallerie internazionali, portando il nome di Velletri al di fuori dei confini italiani. Le sue opere sono state apprezzate in Indonesia, Stati Uniti, Australia, Russia e in molte altre nazioni, dove la sua capacità di evocare emozioni profonde non ha lasciato indifferente il pubblico.

Sulla via del ritorno verso casa, mi sono accorto che lo zaino delle mie esperienze era molto più pesante.
Lo avevo arricchito di tante cose vere, belle e piene di significato.
Ho certamente portato con me Agostino e Angela, la sua compagna di una vita.
Due facce perfettamente combacianti di una stessa medaglia.
Oltreché un approccio commovente all’arte come ricerca continua e costante del Divino. L’arte come viaggio animico verso la comprensione di Dio. Ho portato con me le immagini delle sue opere, ma anche una riflessione profonda su quanto l’arte possa essere ponte tra l’individuo e l’universo, tra il visibile e l’invisibile. Agostino de Romanis è più di un artista: è un poeta della luce, un alchimista del colore, un custode dell’infinito che, attraverso la sua pittura, ci ricorda chi siamo e da dove veniamo. Un romanziere di tele che utilizza scritture conosciute e le forgia in un linguaggio nuovo, interprete quantomai fedele dell’anima e dell’emotività di chi osserva.