L’Angolo dell’Arte: nel cuore di Velletri il Rosso Sciamè

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Al centro di Velletri, alle spalle di Piazza Cairoli, in un luogo di cui ignoravo l’esistenza, vive uno spazio ove respira una sacralità pagana che si mescola a colori, simboli e dettagli che paiono sospesi tra la terra e l’eternità. Lo spazio cui mi riferisco è l’atelier di Vincenzo Sciamè.

La moglie Mary e la figlia Katy mi hanno accolto con calore, in questa nicchia di misticismo vibrante di colori. Dove, con orgoglio, custodiscono e tramandano il ricordo e l’eredità di un artista straordinario capace di rendere la tela un vero e proprio “carme visivo”.

Sciamè, nato a Sambuca di Sicilia ma veliterno d’adozione, ha saputo narrare, tra le trame delle proprie opere, un mondo incorporeo di simbolismi e introspezione, che non smarrisce mai un legame indissolubile con le sue radici. Nei suoi primi lavori, spicca il tema del bradisismo, con monumenti romani parzialmente sommersi dal Tevere. Il Bradisismo, ingenera una profonda riflessione sulla precarietà delle certezze che crediamo di avere e sull’instabilità della condizione umana. È l’arte che si fa dialogo metafisico con la natura e con il tempo, che mutano ruolo divenendo da nemici, interlocutori.

Uno degli elementi che più ipnotizzano, nelle opere di Sciamè, è la frequente presenza di pavimentazioni che si estendono dall’occhio dell’osservatore verso l’orizzonte. Questi pavimenti, solidi e geometrici, incarnano la metafora delle radici e della stabilità e, al tempo stesso, offrono uno slancio verso l’infinito, creando un gioco di prospettive che invita colui che osserva a immaginare cosa ci sia… oltre. È un movimento verso ciò che si vede ma non si definisce, un anelito di speranza, simbolo di partenza e insieme di permanenza.

Altro elemento ricorrente nelle sue tele è la rappresentazione dell’uovo, che si innesta in questa chiave simbolica della pittura. L’uovo è il contenitore della vita, fragile eppure carico di un potenziale straordinario. Accostato a questi pavimenti e alla luce che spesso squarcia il buio delle sue composizioni, suggella la tendenza inarrestabile ad una continua rinascita, in una promessa costante di nuovi inizi. Nelle sue serie dedicate alla “Donna Sola”, Sciamè ha saputo intessere il mistero unito alla forza delle donne. Un gineceo di soggetti evanescenti, spesso ritratti di spalle o con lo sguardo velato, da corpo ad un enigma che obbliga al silenzio e alla riflessione. Le donne, mai completamente accessibili, attraverso la loro intangibilità apparente parlano di resilienza e introspezione.

Tuttavia è con il ciclo del “Rosso Sciamè”, che l’artista sublima se stesso, esplorando il dualismo della vita stessa. Il rosso, nelle sue sfumature più intense, diventa simbolo di passione e tensione, di energia vitale e malinconia. Lo si percepisce come un richiamo alla memoria e alla storia personale, ma anche come un colore capace di avvolgere lo spettatore in un’esperienza emotiva totalizzante.

Sciamè ha celebrato il legame con la sua terra natale attraverso omaggi a Luigi Pirandello e Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con quadri ispirati a capolavori come Il Gattopardo e Uno, nessuno e centomila. In questi lavori, ha trasposto sulla tela i dilemmi filosofici e culturali di una Sicilia che lotta con le sue contraddizioni, ma che al tempo stesso si afferma con orgoglio. La sua tendenza visionaria e predittiva si fa ancora più evidente nei “Presagi”, dove preconizza conflitti e tensioni che oggi ci appaiono drammaticamente attuali e reali. In queste opere, Sciamè non offre risposte, ma invita a guardare oltre, a cercare e ad aggrapparci a quel raggio di luce che emerge anche nelle situazioni più oscure. Ed è proprio questa luce, il tratto distintivo di tutta la sua arte. Che si affacci, timida, nei riflessi dell’acqua, che riempia cieli aperti o squarci letteralmente lo sfondo di una tela intrisa di rossi e blu profondi, la luce è sempre una promessa. È simbolo di una speranza resiliente e resistente, di un’umanità che non si arrende e della vita che, nonostante tutto, continua a cercare in se stessa il suo senso più profondo.

Con Vincenzo Sciamè, ogni opera diventa il viatico di un viaggio metafisico, un invito a vedere oltre, a scoprire la poeticità intrinseca e spesso nascosta del quotidiano. Un inno a credere nella possibilità di un domani più luminoso.