Le foto dell’investigatore privato sono valide come prova dell’infedeltà coniugale

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Le foto dell’investigatore privato sono una prova valida per dimostrare l’infedeltà coniugale ed ottenere l’addebito della separazione. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di una donna che tradiva il marito, stabilendo che i giudici di merito non hanno errato nel considerare la relazione scritta di un investigatore privato, corredata da materiale fotografico, prova valida dell’infedeltà.

LA VICENDA

 Un uomo incarica un investigatore privato di procurarsi delle prove per documentare, nel giudizio di separazione che si accingeva ad instaurare, il tradimento della moglie. Per ottenere l’addebito della separazione, allega al ricorso la relazione redatta dall’investigatore corredata da diverse fotografie. Il Tribunale accoglie le richieste dell’uomo in quanto ritiene provato, dalla relazione investigativa e dalle foto, il tradimento e addebita la separazione alla moglie fedifraga. La donna impugna la sentenza, ma i Giudici d’appello confermano l’addebito modificando soltanto la misura del mantenimento alle figlie. La signora fa quindi ricorso in Cassazione contestando l’utilizzabilità delle prove dell’addebito, vale a dire la relazione dell’investigatore privato pur corredata di foto. Secondo i legali della donna, la Corte di Appello aveva errato nell’attribuire valenza probatoria al suddetto documento. Ciò perché, le relazioni investigative costituirebbero prova solo a condizione che l’investigatore venga escusso nel contradditorio tra le parti, ed invece, nel caso di specie, l’investigatore non era mai stato sentito come teste nel corso del giudizio, pertanto, alcuna valenza probatoria poteva ascriversi alle relazioni investigative”.

Quindi i Giudici di secondo grado “avevano ritenuto provata l’asserita violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della stessa attribuendo, del tutto illegittimamente, rilevanza probatoria alle relazioni investigative prodotte dal marito”.

LA CASSAZIONE

La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 4038 pubblicata in data 14 febbraio 2024, ha confermato che le foto dell’investigatore privato possono costituire una valida prova per dimostrare l’infedeltà coniugale.

Sul punto gli Ermellini hanno spiegato che nel caso di specie, le relazioni investigative erano formate anche da materiale fotografico, la cui utilizzabilità a fini decisori “è espressamente riconosciuta dall’art. 2712 cod. civ., anche in presenza di un disconoscimento della parte contro la quale il materiale fotografico viene prodotto; nel senso che, neppure il disconoscimento esclude l’autonoma valutazione della veridicità di detto materiale fotografico da parte del giudice, mediante il ricorso ad altri mezzi probatori”. Quindi, “la relazione scritta redatta da un investigatore privato è stata utilizzata correttamente dai giudici di merito come prova atipica, avente valore indiziario, ossia è stata valutata unitamente ad altri elementi di prova ritualmente acquisiti”.

Per quanto riguarda l’addebito di colpa, la donna non era riuscita a dimostrare che la crisi coniugale era precedente alla sua relazione sentimentale. Infatti, “l’anteriorità della crisi della coppia rispetto all’infedeltà di uno dei due coniugi esclude il nesso causale tra quest’ultima condotta e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza”.

La Suprema Corte ha dichiarato pertanto inammissibili i motivi del ricorso e infondate le doglianze relative alla relazione investigativa perché “impropriamente formulate” non concernenti il fatto della storia, e comunque “non pertinenti nel senso che si è precisato”.

Alla luce delle suddette motivazioni la Corte ha rigettato il ricorso e condannato la ricorrente alle spese.

QUANDO SI PUO’ CHIEDERE L’ADDEBITO

In un articolo recente del 3 febbraio 2024, ho elencato i casi più frequenti di violazione degli obblighi derivanti dal matrimonio, che consentono di chiedere l’addebito di colpa.

A proposito della casistica, per chi non lo avesse letto, spiegavo che oltre all’infedeltà coniugale, sono la violazione dell’obbligo di coabitazione (il c.d. abbandono del “tetto coniugale”); la violazione del dovere di assistenza morale e materiale.

Si inseriscono in questa serie anche condotte penalmente rilevanti come i casi di maltrattamento morale e/o fisico, tanto nei confronti del coniuge quanto dei figli. Esiste poi una casistica molto varia legata all’uso di telefonini e Social.

La giurisprudenza più recente ha considerato, come causa di crisi matrimoniale e di addebito della separazione, anche l’uso imprevidente e compromettente di telefonini e social.

Si tratta di mariti o mogli che cercano avventure sui siti di incontri, di messaggi compromettenti trovati sul cellulare; di post e commenti pubblicati sui social network.

Concludevo l’articolo dicendo che per ottenere una pronuncia di separazione con addebito è necessario che il Giudice accerti come la condotta tenuta dal coniuge sia stata la causa della crisi coniugale e non già l’effetto. In buona sostanza, per aversi una pronuncia di addebito, è necessario che il comportamento contrastante con i doveri coniugali tenuto da uno dei due coniugi sia stato la causa della rottura del rapporto matrimoniale e non l’effetto di una crisi già maturata e consolidata in precedenza e dovuta ad altri motivi.