Un’iniziativa che coniuga le radici storiche e popolari di Velletri con l’attualità e la modernità. L’Orchestra del Paese Immobile, un’idea nata da Matteo Scannicchio e Roberto Zaccagnini, spopola su internet e sui social network in attesa di poter raccogliere i sicuri applausi della platea veliterna in presenza. Abbiamo intervistato Matteo Scannicchio, uno degli autori di un progetto in continua evoluzione che mette insieme varie professionalità, giovani e meno giovani, per restituire un ritratto della città satirico e allo stesso tempo realistico.
Orchestra del Paese Immobile. È una domanda scontata e banale, ma come vi è venuto in mente di dare questa denominazione al progetto artistico?
C’è un libro di Roberto Zaccagnini intitolato “il ragazzo che sapeva ridere” dove lui stesso racconta di come gli scherzi fossero l’unica vera forma di evasione nella quotidianità di un “paese immobile”. L’ho trovata una definizione perfetta, sintetica, provocatoria. Gli ho rubato anche questa, gli ho rubato tutto!
L’incontro tra te e Roberto Zaccagnini, libraio e storico, ha dato vita a tutto questo: dove è scattata la scintilla?
È successo per caso, come tutte le cose belle. Due anni fa un mio amico mi mandò una poesia di Roberto. Oltre all’immediato divertimento, iniziai a leggere altre poesie ed entrai in un mondo di storie e parole dal suono bellissimo, il dialetto era musicale e non lo avevo mai capito. Una magia. Avevo la chitarra accanto e iniziai a improvvisare. Poco dopo ero alla libreria Numero 6, altro luogo magico dove Roberto fa il libraio. Mi sono presentato, lo conoscevo di fama mentre lui non aveva idea di chi fossi e gli ho chiesto il permesso di musicare le sue poesie. A denti stretti per via della pipa mi ha risposto: “fa pó come cazzo te pare… “. Per me era un “si” e sono corso a casa a lavorare. Il giorno dopo ero di nuovo in libreria per fargli ascoltare le prime canzoni e lui si è commosso.
L’idea di lavorare con il dialetto per raccontare Velletri tramite sonorità contemporanee e linguaggi visivi moderni è un’assoluta novità. Siete soddisfatti del risultato ottenuto?
Molto soddisfatti ma l’Orchestra è in continua evoluzione. Questo è solo l’inizio, c’è tanto ancora da inventare. Abbiamo coinvolto tanti musicisti, artisti, grafici, videomaker, ognuno con le sue peculiarità, ognuno ha immaginato l’orchestra con i propri occhi e le proprie mani. E così dovrà essere per sempre. Uno dei miei desideri è che tra 20 anni altre persone continuino il progetto al posto nostro, canteranno e suoneranno questi diamanti di cultura veliterna, magari saranno velletrani di prima generazione e con i loro suoni e i loro linguaggi reinventeranno ancora la tradizione.
Quante persone sono state coinvolte nel progetto? Si può considerare un cantiere aperto, nel senso che siete pronti ad accogliere nuove figure?
Certo! L’Orchestra del paese immobile è un collettivo, il dialetto e le storie della città sono il cuore del progetto poi ognuno ci metta il suo. Ogni collaboratore è di Velletri, dai musicisti ai tecnici, tutti qui sul territorio. Siamo più belli di quanto pensiamo, la poca autostima è uno dei vizi più grandi della nostra città, invece siamo pieni di talento e di menti brillanti, soprattutto tra i giovanissimi, quindi se ci sono buone idee, sono sempre le benvenute, anzi le aspettiamo.
Nella descrizione del vostro canale Youtube ufficiale parlate di “nuovo modo di intendere la tradizione”. È un apparente ossimoro…?
La chiave è proprio quella. La musica popolare tradizionale c’è già, gli stornelli, la Pasquella, le commedie dialettali sono sempre lì, solide e immutabili. L’orchestra è un’alternativa a questi linguaggi, un modo diverso di intendere il dialetto, considerandolo una lingua e la musica va nella stessa direzione. Le radici sono identiche ma le strade diverse. Si tratta di lanciare un missile nello spazio con dentro la cultura di Velletri e vedere dove arriva
Era in programma al Teatro Artemisio-Volonté un grande concerto, purtroppo rinviato. È stata già fissata una nuova data?
La situazione è sotto gli occhi di tutti. Abbiamo deciso di rimandare in un periodo così critico per la salute del nostro paese. Le prevendite stavano andando benissimo e paradossalmente avevamo paura di fare sold out. Salire sul palco e vedere 400 persone chiuse in un teatro, nonostante tutte le precauzioni seguite meticolosamente, era un’immagine che non ci faceva stare tranquilli. Appena possibile comunicheremo la nuova data, naturalmente i biglietti già acquistati saranno validi, chiediamo un po’ di pazienza al pubblico e agli sponsor che immediatamente ci hanno sostenuto.
Una strofa di una canzone dice “vorrei essere un microbo o un moschino per vedere nel cervello della gente fino a che punto non ci sia niente” (si perdoni la traduzione non letterale). Queste canzoni fanno satira di costume, vanno dentro le pieghe più recondite della mentalità di alcuni personaggi, cercano di dare un messaggio?
Ecco, questo è l’esempio di come il dialetto possa essere incisivo. È una canzone di protesta, vecchio stile cantautorale, che sia cantata in ungherese, tunisino o velletrano non conta. Conta il significato e il suono del dialetto lo rende ancora più aggressivo e ficcante. C’è un aneddoto su questa canzone. Avevo chiesto a Roberto un testo inedito per arricchire il disco, le altre poesie fanno già parte delle sue celebri raccolte. Lui aveva cestinato “Microbo o moschino” ed è andato a recuperarlo proprio nel bidone bianco della carta. Alla fine è diventato il primo singolo e il primo videoclip dell’Orchestra del paese Immobile.
Velletri quanto è protagonista da 1 a 10? Che immagine vi siete fatti della nostra città, dopo averla resa artisticamente con tutti questi linguaggi?
Velletri è l’epicentro, il cuore pulsante di tutto. La cosa più curiosa è che quando ho iniziato a parlare del progetto, quasi tutti mi sconsigliavano di andare avanti, era un continuo “lascia perdere”, “a Velletri nessuno lo capisce”, ecc…Quando O.P.I. ha iniziato a prendere forma, i sentimenti si sono rovesciati, tutti entusiasti e in tantissimi hanno dato il proprio contributo. Velletri sta cambiando come il resto del Paese, le nuove generazioni stanno riscrivendo la società, questo è molto affascinante, sicuramente sta diventando più intraprendente ed affamata, per fortuna.
Chi si crede di essere padrone del mondo come fosse il proprio stazzo e rimane con un pugno di niente in mano può comprendere questo tipo di musica?
La musica e l’arte in generale non possono solamente parlare d’amore. C’è un’immensa letteratura sull’arte attiva, ingaggiata e critica. La provocazione è nella natura delle canzoni. All’inizio del video di “Microbo o Moschino “, i due esserini mostrano uno specchio al protagonista e il protagonista resta fulminato dalla propria immagine. Il messaggio è quello, sicuramente comprendi e ti riconosci nella canzone, bisogna vedere se perseveri nell’errore o ti vergogni e cambi vita.
Sono presenti ispirazioni a personalità reali della storia o del tessuto cittadino? Senza svelare troppo per non incorrere in denunce, dato che l’autoironia è cosa rara…
Sarebbe bello rispondere come nel cinema, “fatti e personaggi sono frutto della fantasia”, invece no. Siamo noi cittadini i protagonisti delle canzoni, nel bene e nel male. Siamo noi che parcheggiamo in seconda fila e che gettiamo l’immondizia sulla montagna. Ma siamo sempre noi che troviamo la pace al suono della sorgente dell’Acqua Donzella o che godiamo nello sgranare le olive appena raccolte. Siamo tutti coinvolti, siamo tutti responsabili se vogliamo Velletri più bella.
Ci sono ringraziamenti che vuoi porgere per questo progetto?Il futuro cosa vi riserverà, nelle intenzioni?
Ringrazio Roberto Zaccagnini per il suo sterminato lavoro di ricerca e divulgazione della nostra cultura. Avrei ancora un milione di ringraziamenti da fare ma tanto so che chi fa parte di OPI conosce perfettamente la mia infinita gratitudine per loro. Noi andiamo avanti nonostante la pandemia. È appena uscito il video e approfitteremo dei prossimi mesi incerti per finire il disco. Intanto stiamo preparando nuovi contenuti per i social e qualche sorpresa, insomma siamo solo all’inizio ma ce la mettiamo tutta.
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