Abbiamo intervistato Patrizia Audino, interpellandola su un aspetto in particolare collegato alla pandemia: quello dell’approccio verso la stessa da parte della terza età. La dottoressa Audino, che gentilmente ha risposto alle nostre domande, si è laureata in Psicologia – indirizzo applicativo, presso l’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma con una tesi sperimentale in psicologia della pubblicità. Si è poi formata e perfezionata post-lauream, conseguendone il relativo attestato, in “Psicologia applicata ai problemi della pubblicità, della moda e del design” presso l’ISAP (Istituto per lo sviluppo e le applicazioni della Psicologia Scientifica) in collaborazione con la Cattedra di Psicologia Generale dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, in “Psicologia e giustizia minorile ed adulti” presso il Centro Italiano di Psicologia Clinica di Roma, in “Tecniche psicodiagnostiche applicate alla Psico-Sessuologia” presso l’ISAP (Istituto per lo sviluppo e le applicazioni della Psicologia Scientifica) in collaborazione con la Cattedra di Psicologia Generale dell’Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, in “Psicodiagnostica e Psicologia Clinica” (I anno) organizzato da ITER in collaborazione con la “Società Italiana per la Ricerca Psicodiagnostica” e l’ Istituto di Psichiatria e Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Ha conseguito l’abilitazione all’esercizio della professione di Psicologo presso il Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica. E’ stata docente di Filosofia, psicologia e scienze dell’educazione negli Istituti Tecnici e Commerciali, delle Scienze Sociali ed i Licei Scientifici-Tecnologici.
Patrizia Audino, sei psicologa e stai svolgendo degli studi sulla cosiddetta “terza età”. Quali sono le problematiche, da un punto di vista psicologico ed emotivo, più comuni in questa fase della vita?
In base alla mia esperienza sugli studi di psicologia geriatrica e gerontologica mi sento di fare delle considerazioni preliminari: con la cosiddetta “terza età” generalmente si intende indicare la popolazione che ha un’età che parte dai sessant’anni in avanti. Però, ai fini delle nostre riflessioni, occorre distinguere quella parte di anziani che sta bene e non ha particolari patologie che condizionano la loro vita e quella, invece, formata da anziani con gravi patologie e che hanno quindi bisogno di assistenza e cura continue. Questa differenza di situazione fa sì che anche le motivazioni che sono alla base delle scelte del singolo individuo e le finalità dell’agire sono condizionate da questi fattori. Occorre inoltre precisare che l’individuo in sé, a qualsiasi fascia di età appartenga, è unico nel suo essere, e gli ulteriori condizionamenti che subisce nella vita lo rendono diverso da chiunque altro. Pertanto noi possiamo solo cercare di operare una classificazione “a valle” basata sui vari problemi manifestati dalla popolazione cosiddetta anziana. Detto questo, le problematiche psicologiche dell’anziano di oggi sono spesso riconducibili al non sentirsi compresi dagli altri e quindi non ascoltati. C’è un problema di fondo che ha colpito duramente la nostra società: le varie forme di razzismo che vengono perpetrate verso le persone cosiddette “diverse” per sesso, etnia, ecc. ma, tra tutte, la più grave forma di discriminazione (ciò è documentato da varie ricerche svolte sul campo) è l’ “ageismo” (dall’inglese “ageism”) che rappresenta quella forma di emarginazione che colpisce le persone in base alla loro età. E’ facile immaginare come questa possa quindi colpire le persone in età avanzate, soprattutto le più fragili. Questa forma di discriminazione viene operata nei più disparati aspetti del sociale ma in particolare nei mass-media dove l’anziano viene spesso rappresentato “giovanile” e in buona salute. E’ ciò molto grave perché non aiuta i giovani ad accettare il trascorrere del tempo e quindi li porta a non diventare mai adulti. Il tema è stato sviluppato dal punto di vista delle motivazioni umane nel mio testo “Il passato che verrà – ll fascino di invecchiare” dove è stato descritto un progetto che propone un approccio originale per il recupero della comunicazione e della socializzazione tra anziani volta anche a formare volontari anziani per gli anziani.
L’esperienza e la maturità acquisite durante la vita rendono più semplice l’accettazione di conflitti e debolezze rispetto a un giovane o viceversa le complicano?
I limiti che il nostro vivere quotidiano ci impone sono veramente tanti e inevitabili ma il modo di affrontarli dipende da svariati fattori personali e sociali. Però certamente il segreto non è accettarli passivamente ma cercare di affrontarli e superarli. Rispetto ad un giovane la persona matura ha una visione della vita che gli permette di affrontare i problemi in modo meno ansioso rispetto al giovane, considerando la lunga esperienza di vita e la personalità oramai ben consolidata. Da un punto di vista psicologico-sociale ciò che è auspicabile per la soluzione dei problemi, è l’incontro generazionale giovani-anziani per uno sviluppo produttivo degli anni a venire, come descritto nel testo sopra citato a cui rimando per i dettagli.
Si è parlato spesso dei giovani quali vittime dei cambiamenti sociali dovuti alla pandemia, ma a soffrire sono anche gli adulti e gli anziani. Per cosa soffrono principalmente gli “esponenti” della terza età rispetto ai giovani?
Va sottolineato che tutti noi in questo momento storico ci sentiamo confusi e frastornati dalla terribile pandemia in atto e molte fasce di popolazione sono colpite dal senso di vuoto e dalla solitudine per non parlare delle tante persone che in questo periodo sono colpite da ansia e depressione. La solitudine sta colpendo fortemente i giovani per via dell’isolamento dai loro coetanei dovuto alla pandemia. Insieme a loro anche gli anziani hanno manifestano questa sofferenza. Parlo in particolare degli anziani ricoverati negli istituti e quelli che vivono soli, soprattutto nelle prime fasi della pandemia, quando perfino il sistema sanitario si è trovato dinanzi a problemi sconosciuti sino ad allora. Ci è voluto un po’ di tempo affinché tutti noi ci adattassimo alla nuova situazione, ma ora sembra che siamo riusciti a focalizzare meglio i problemi anche da un punto di vista psicologico. Spero che questo dramma ci renda consapevoli che gli anziani non solo non vanno mai lasciati soli, ma vanno anche ascoltati perché il vecchio è una ricchezza anche se spesso non apprezzata, anzi allontanata.
Quanto può incidere sulla mentalità e sulla progettualità di vita di un adulto una pandemia colma di limitazioni e proibizioni?
La progettualità di vita va esaminata di pari passo con l’età ed è, generalmente, direttamente proporzionale alla resilienza della persona: maggiore è la capacità di affrontare i problemi, maggiore è la probabilità che si operi più serenamente una progettualità sulla propria vita. La pandemia sembra aver enfatizzato questo fenomeno perché ha accentuato le difficoltà dei processi messi in atto per superarle.
Un anziano si cala meglio in una realtà così rigida e ansiogena rispetto a un giovane?
L’uomo ha sempre dovuto affrontare parecchie difficoltà per sopravvivere e quindi è abituato a combattere contro ogni sorta di ostacoli, In sostanza l’essere umano in quanto tale è preparato già per sua natura ad affrontare i vari ostacoli che la sorte gli riserva. Il problema è se riesce anche a superarli ma questo, ancora una volta, dipende dal contesto familiare e sociale in cui vive. Oggi tutta l’umanità è di fronte ad un problema sanitario che è molto difficile da risolvere e quindi si presenta, nella mente delle persone, come una difficoltà altamente frustrante ed ansiogena. In questo caso penso che la lunga esperienza di vita delle persone avanti con gli anni, possa aiutare a sostenere l’urto di quello che sta accadendo mentre per le fasce più giovani è generalmente più difficile ma nel loro caso vengono in soccorso i contesti familiari, amicali, lavorativi o scolastici di cui fanno parte. Il fenomeno vero da esaminare, quindi, è riassunto in una parola di cui oggi si fa largo uso: la “resilienza” ovvero la capacità di assorbire e superare le difficoltà che si manifestano in modo improvviso e imprevisto. Il giovane impara sul campo ad affrontare i problemi, e via via col passare del tempo impara a fronteggiarli con minor fatica. Diversa è la situazione per l’anziano che ha ormai sviluppato uno schema di comportamento, e un più maturo approccio alla gestione dei problemi.
Sembra che anche lo scetticismo verso la scienza sia più per le “vecchie” generazioni che per le “nuove”. E’ vero o è una leggenda metropolitana?
E’ una realtà il fatto che una parte della popolazione ha unatteggiamento scetticoverso la scienza e, su questo punto, direi che il ragionamento andrebbe fatto “ad personam”. Lo scetticismo verso la scienza può essere frutto di mero pregiudizio per cui un determinato individuo può avere un’idea su una determinata questione senza averne conoscenza. Inoltre occorre prendere in considerazione la predisposizione personale nell’affrontare la realtà che dipende, tra i vari fattori psico-sociali, anche dalla fiducia che si ha verso gli altri e verso la vita, che è frutto, a sua volta, dello sviluppo emotivo dell’individuo. Tale fiducia, se presente, consente una visione critica che conduce inevitabilmente a porsi delle domande e ad alimentare la curiosità e il dubbio, che sono il sale della scienza.Pertanto lo scetticismo sfugge ad ogni categorizzazione per fasce di età, poiché dipende in massima parte dalla formazione culturale ed educativa.
Paura, tristezza, scoraggiamento e apatia. Quali atteggiamenti in un anziano alle prese con la pandemia debbono rappresentare un campanello d’allarme?
La paura è uno stato emotivo che si manifesta dinanzi al pericolo, ed è “normale” se serve per affrontare le difficoltà, mentre la tristezza è un’emozione che nasce in genere dopo un dolore patito e costituisce una reazione naturale al fattore frustrante. Lo scoraggiamento e l’apatia sono invece due manifestazioni della psiche che nell’anziano possono destare qualche preoccupazione perché, mentre lo scoraggiamento rappresenta in sintesi un insuccesso reale o percepito, l’apatia è l’assenza completa di motivazione e interesse verso la vita. Dietro l’angolo il pericolo più evidente può essere rappresentato dalla formazione di patologie più gravi come la temuta depressione.
La psicologia come può aiutare e che funzione assume?
In questo quadro storico attuale la psicologia può senz’altro aiutare a risollevare la psiche. Quello che a noi tutti manca molto da un punto di vista sociale, è la comunicazione diretta con le persone amiche e la possibilità di organizzarsi per stare insieme, svolgere delle attività di gruppo, andare a teatro, ecc.. Anche la nostra routine quotidiana è stata stravolta dagli eventi e quindi questa pandemia ci ha cambiato radicalmente la vita. In questo contesto lo psicologo può veramente dare una mano a chi sente il bisogno di essere ascoltato ed aiutato. Considerando i vari problemi di cui abbiamo parlato fin qui, vorrei tracciare delle brevi conclusioni: in genere la vecchiaia è considerata come una inevitabile forma di decadenza fisica e sociale e proprio questa concezione, presente nell’immaginario collettivo, contribuisce a creare il vero handicap nell’anziano. Secondo lo studio di cui sopra è proprio l’isolamento sociale che crea stress mentale e perdita di memoria. Ma forse, proprio considerando il momento storico che stiamo vivendo e che ci ha cambiato profondamente, perché non rivedere anche il nostro modo di impostare il nostro approccio alle questioni sociali, come possono essere quelle relative all’inserimento delle persone anziane, nella costruzione di una società migliore e più creativa?