Ultimo aggiornamento:  12 Marzo 2022

Perché la catechesi familiare?

Quel sabato l’aria uggiosa aveva costretto le mamme a sostare nella sala attigua all’aula di catechismo. Il loro vociare si faceva sempre più intenso e fastidioso: e se invitassimo anche loro all’incontro? Le mamme erano sei e fu un piacere per il parroco coinvolgerle nel dialogo iniziato già con i bambini. Il sabato successivo tra le mamme c’era anche qualche papà e tutti si fecero trovare nell’aula di catechismo mescolati già ai propri figli.

Crebbero curiosità e interesse attorno all’iniziativa, tanto da farla diventare progetto per il futuro. E così, nel lontano 1975, presso la parrocchia di S. Michele Arcangelo in Velletri, nasceva la Catechesi Familiare.

Giovanni Paolo II il 16 ottobre del 1979 aveva scritto:

“La famiglia è come la madre e la nutrice dell’educazione per tutti i suoi membri, in modo particolare per i figli… insostituibile è la partecipazione attiva dei genitori nella preparazione dei figli ai sacramenti dell’iniziazione cristiana,… i genitori stessi annunciando ascoltano, insegnando imparano.” (RdC 152)

Una conferma sull’opportunità di continuare su tale strada venne anche dalla Conferenza Episcopale Italiana che nel  Direttorio di Pastorale Familiare (1993) al n. 109 raccomandava:

“Ai genitori e alle famiglie, nelle quali la vita umana è stata trasmessa, tocca il primo, il più diretto, il meno sostituibile compito educativo. I padri e le madri vanno però aiutati in questa loro missione…”.

Quale parroco, dinanzi a tali esortazioni, non prova gioia profonda nel costatare di aver anticipato di qualche anno i desideri di un Papa e dei Vescovi?

Eppure nel corso di questi ultimi anni la grande gioia è stata turbata dalle difficoltà che alcuni hanno voluto creare attorno a quella esperienza, criticandola in mille maniere, senza conoscerne i contenuti e i meccanismi.

Comunque, più delle parole contano i fatti.

Prima di iscrivere le famiglie al corso di catechesi, chiedevo sempre di indicare per iscritto le motivazioni della scelta. 

1. Potresti essere quel gradino che manca

Caro Don Gaetano,

sono nato in una famiglia cristiana e sin da bambino ho sempre frequentato ambienti cattolici. Tutto è andato bene sino a quando, non essendo più un adolescente, ho avuto bisogno di un rapporto più aperto e profondo con Cristo.

Mi sono allora accorto che i miei “intermediari” avevano sempre indossato gli abiti scuri e si sentivano, con arroganza, i manager della mia anima. Un immobilismo noioso che poteva rendere loro dei feed back solo dal bigottismo consolidato di un modo arcaico di vivere quella Chiesa.

Tutto ciò non ha provocato in me una crisi di fede, ma una crisi di identità.

Ho pensato di risolvere il problema aprendo un collegamento diretto con il Signore, senzaintermediario alcuno. Mi sono reso conto, però, che questo sistema non può funzionare perché subisce l’influenza della mia mente, senza possibilità di contraddittorio.

 Le mie rare frequentazioni della tua chiesa, il leggere quello che scrivi e l’averti sentito esprimere dei concetti che non posso che condividere, mi ha fatto pensare che la soluzione al problema potresti essere tu.

Tu potresti essere quel gradino che manca a me e alla mia famiglia.

Quale migliore occasione di verificarlo insieme a mia moglie e a mio figlio in un percorso di Catechesi?

Gli intermediari, mi chiedo, sono una provvidenza o un ingombro? Spetta ai fedeli deciderlo, come spetta ai sacerdoti riflettere sulle critiche oneste che da loro ricevono.

L’idea del gradino mi affascina. Il gradino colma un vuoto, senza interferire sul movimento  dell’anima verso Dio; il gradino si fa trampolino di lancio in direzione della verità, lasciandosi calpestare con spirito di servizio; il gradino sono le mani intrecciate che sostengono il piede di chi vuole scavalcare il muro della monotonia e dei poteri di comodo…

Il tempo trascorso e l’esperienza acquisita mi dicono che c’è esigenza, oggi più che mai, di pastori educati all’accoglienza e all’ascolto. Non sempre, però, si hanno risposte per le questioni della vita; l’essere disarmati, allora, diventa forza che dona all’altro la libertà di parlare.

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