Confermata dalla Corte di Cassazione penale la condanna per stalking inflitta ad un uomo per aver inviato frequenti messaggi e lettere minatorie all'ex moglie. Non solo lettere e messaggi! Ha trasgredito il divieto di avvicinamento, presentandosi inaspettatamente a casa della donna e con il suo atteggiamento minaccioso e intimidatorio, ha ingenerato ansia e paura, tanto da farle cambiare le sue abitudini di vita. In quella circostanza, ha persino violato il domicilio della vicina di casa. La vicenda giudiziaria ha un’importanza primaria in fatto di risarcimento da stalking. Alla donna, costituitasi parte civile, è stato riconosciuto un consistente risarcimento pari a 18.000 euro. Inoltre, la decisine della Cassazione penale, dovendo respingere l’argomentazione del ricorrente secondo cui aveva solo “molestato con un corteggiamento serrato” per “ristabilire il rapporto”, sorvolando sull’evidente incongruenza difensiva, ha precisato la differenza tra il reato di molestia e lo stalking.
L'ITER PROCESSUALE
L'imputato viene condannato dal Tribunale alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per il reato di atti persecutori aggravato dall'aver commesso il fatto nei confronti dell'ex coniuge; per il reato di violazione di domicilio sia dell’ex coniuge che della vicina di casa; per il reato di lesioni aggravate. Una pena aggiuntiva di 10 mesi viene irrogata “per avere reiteratamente violato le prescrizioni impartitegli con il decreto del Tribunale di Torino, sezione misure di prevenzione”.
Lo stesso Tribunale condanna l'uomo anche al risarcimento del danno in favore della ex moglie costituitasi parte civile, riconoscendole 18.000 euro. L’uomo a questo punto propone ricorso in appello, ma in questa sede per lui la situazione non migliora. Infatti la Corte d'appello ridetermina la pena in anni tre di reclusione, confermando nel resto l’appellata sentenza. In sintesi, i giudici di merito emettono la sentenza di condanna dopo aver accertato come, “in conseguenza delle condotte persecutorie messe in atto dall'imputato, era sorto nella persona offesa un perdurante stato di paura e ansia, tale da costringerla ad abbandonare il proprio domicilio, rifugiandosi in un luogo tenuto nascosto anche alle forze di polizia”.
RICORSO IN CASSAZIONE
Nel ricorrere in Cassazione l'imputato contesta la responsabilità penale per il reato di stalking, per “mancanza della prova che i comportamenti contestati avessero determinato nella persona offesa uno degli elementi tipici del delitto di atti persecutori”. Secondo la difesa dello stalker i suoi comportamenti dovevano essere inquadrati più come un “serrato corteggiamento amoroso al solo fine di riallacciare il rapporto sentimentale senza alcuna volontarietà della fattispecie incriminatrice”. Quindi, lo stalker contesta l’eccessiva severità della sanzione, ribadendo che non ce stata nessuna persecuzione, ma solo un “corteggiamento serrato” per ristabilire il rapporto. Nel ricorso viene anche dedotta “violazione di legge in relazione alla somma liquidata alla parte civile quale risarcimento del danno quantomeno eccessiva e come tale da riformare”.
DECISIONE DELLA CASSAZIONE
La Cassazione penale con la sentenza 7 luglio 2022, n. 26182 respinge il ricorso in quanto la decisione di condanna del giudice d’appello “ha indicato chiaramente le condotte tenute dall'imputato, aggiungendo che le stesse hanno procurato l'evento che integra il reato, nella specie crisi di ansia, mutamento del domicilio tenuto segreto anche agli inquirenti”. La ex moglie è stata vittima di una vera e propria persecuzione, tanto è vero che ha deciso di separarsi “proprio a causa delle continua progressione delle condotte persecutorie messe in atto dal marito nei suoi confronti”. Comportamenti che dal punto di vista pratico si sono poi realizzati in continui messaggi, telefonate, lettere e violazioni del domicilio della donna, che le hanno provocato sentimenti di ansia e paura, “tanto che la stessa, ad un certo punto, ha abbandonato la sua abitazione per trovare un altro luogo nascosto, perfino alle forze di polizia”. Quindi, correttamente la Corte d’appello ha inquadrato le condotte dell'ex come atti persecutori generatori di ansia e il cambiamento di domicilio della ex moglie, è un evidente cambiamento di abitudini. In relazione alla somma di 18.000 euro, stabilita come risarcimento del danno, ritenuta dal ricorrente eccessiva, il supremo Giudice l’ha considerata congrua in quanto “correlata al grave pregiudizio psicologico subito dalla donna in seguito alle troppe telefonate e comportamenti persecutori dell’ex marito”.
DISTINZIONE TRA MOLESTIA E STALKING
Il reato di molestia e disturbo alle persone è previsto dall’articolo 660 del Codice penale secondo cui “Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a euro 516”. Motivi specifici della condotta delittuosa sono quindi la petulanza, intesa come arroganza, sfacciataggine e indiscrezione, e un biasimevole motivo. Richiamando una precedente sentenza la Cassazione precisa che “Il criterio distintivo tra il reato di atti persecutori e quello di cui all'art. 660 c.p., (il serrato corteggiamento amoroso secondo il ricorrente) infatti, consiste nel diverso atteggiarsi delle conseguenze della condotta che, in entrambi i casi, può estrinsecarsi in varie forme di molestie, sicché si configura il delitto di cui all'art. 612-bis c.p. solo qualora le condotte molestatrici siano idonee a cagionare nella vittima un perdurante e grave stato di ansia ovvero l'alterazione delle proprie abitudini di vita, mentre sussiste il reato di cui all'art. 660 c.p. ove le molestie si limitino ad infastidire la vittima del reato (Sez. 5, n. 15625 del 09/02/2021 Rv. 281029)”. La massima è chiara e non servono ulteriori spiegazioni-
La dichiarata inammissibilità del ricorso, ha comportato la conferma della sentenza di condanna al risarcimento ed alla pena detentiva inflitta dalla Corte di merito, al pagamento delle spese processuali del giudizio di Cassazione e alla “rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Torino con separato decreto di pagamento ai sensi degli D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83, disponendo il pagamento in favore dello Stato”.
Ho ritenuto opportuno riportare testualmente anche la parte finale della sentenza, relativa alla condanna alle spese, perché si evince chiaramente come chi subisce atti persecutori, quasi sempre sono le donne, può costituirsi parte civile per ottenere il risarcimento, a spese dello Stato che a giudizio concluso addebita allo stolker.