Ultimo aggiornamento:  3 Dicembre 2022

Se il pedone sbuca all’improvviso il guidatore non può essere incolpato

Per la Cassazione non si può condannare il conducente che abbia investito ed ucciso un passante se, dalle circostanze del caso concreto, risulta che la persona investita in effetti è uscita all’improvviso per attraversare la strada fuori dalle strisce pedonali. L’esenzione di colpa per i conducenti, riguarda tutti quei casi di incidenti con pedoni che hanno avuto un comportamento imprevisto e imprevedibile, in grado da solo di causare il sinistro. 

LA VICENDA

Nel caso di specie, l’incidente mortale si è verificato su una strada urbana distante dal centro abitato, dove non era segnalato nessun limite di velocità. La strada era circondata da campi agricoli ed è proprio un agricoltore che è stato travolto e ucciso dall’auto, per essere letteralmente “sbucato” da una stradina dietro una curva, non segnalata e priva di strisce pedonali. Secondo quanto ha relazionato il perito, la strada poteva essere facilmente confusa con una strada extraurbana, tanto che qualsiasi conducente avrebbe potuto ritenere che in quel tratto la velocità consentita fosse di 90 km orari. Quindi, nel caso di specie, un insieme di fatti e circostanze tendevano ad escludere la responsabilità del guidatore.

Per il Tribunale, infatti, il conducente non poteva essere ritenuto responsabile, né per gli accertamenti effettuati, né per il presunto superamento del limite di velocità, “se non segnalato opportunamente e quindi non conoscibile”.

La decisione di assoluzione viene appellata dalle costituite parti civili e la Corte di appello, ignorando il ragionamento del giudice di primo grado, accoglie l’appello.

Per la Corte d’Appello il conducente ha cagionato la morte dell’anziano pedone “per colpa specifica derivante dalla violazione dell’art. 141 CdS, che sancisce l’obbligo del rispetto della velocità”.

Trascurando le circostanze in cui tale evento si è realizzato, si è limitata ad affermare che “il conducente avrebbe dovuto regolare la propria velocità e condotta in modo da non costituire pericolo per la sicurezza delle persone, anche al fine di prevedere eventuali condotte incoscienti degli altri utenti della strada”.

DECISIONE DELLA CASSAZIONE

Nel ricorso in Cassazione l’automobilista condannato fa valere la contraddittorietà della motivazione e il travisamento della prova sul limite di velocità, la mancanza di verifica sul suo superamento ed il nesso di causa tra velocità ed investimento. La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 42018 depositata l’8 novembre 2022, accoglie le doglianze, evidenziando che la Corte di Appello “non ha valutato la causalità della colpa, come emerso dalla contraddittorietà della motivazione, in cui pur ammettendo l’imprevedibilità della condotta del pedone, ha però concluso che spettava al conducente regolare la velocità, trascurando di considerare non solo la velocità effettiva, ma quella adeguata ad evitare l’investimento, alla luce delle circostanze del caso concreto”.

Tanto più se la Corte di appello, ignorando anche quanto emerso dalle perizie, non si è confrontata con i dubbi sulla colpa e sul nesso di causa emersi dalla sentenza di primo grado.

Vero che spetta al conducente tenere sempre una condotta prudente e accorta nei confronti dei pedoni, affermano gli Ermellini, ma è anche vero che non si può condannare per omicidio colposo un conducente per l’investimento del pedone quando “la condotta di quest’ultimo si ponga come causa eccezionale e atipica, imprevista e imprevedibile, dell’evento, che sia stata da sola sufficiente a produrla”

Nel caso di specie per la Cassazione non è stata raggiunta la certezza della responsabilità del conducente “oltre ogni ragionevole dubbio”, perché il giudice del merito non ha considerato la velocità che il veicolo avrebbe dovuto tenere per evitare il sinistro, oltre a quella a cui realmente marciava la vettura. Anche per il fatto che si trattava di ribaltare un’assoluzione, non ci potevano essere dubbi sulla responsabilità dell’automobilista per emettere una sentenza di condanna.

Ha inoltre ribadito che il sindacato della Corte di Cassazione, non può operare una “rilettura” delle prove e intervenire sulla valutazione della loro rilevanza nella ricostruzione della concreta situazione. Non può scegliere tra le diverse ipotesi ricostruttive, eventualmente emerse in sede di merito e segnalate dalla difesa. Tale duplicità di ricostruzioni alternative deve essere oggetto di attenta disamina da parte del giudice dell’appello. La suprema Corte, può verificare la sola completezza della motivazione e l’esistenza di un apparato argomentativo che sia logico e non manifestamente contraddittorio. Quindi, il ricorso è stato accolto per la rilevata contraddittorietà della motivazione e l’accoglimento ha comportato il rinvio per un nuovo giudizio in sede di merito.

IL RAGIONEVOLE DUBBIO

Per quel che concerne la locuzione “oltre ogni ragionevole dubbio”, può essere interessante (almeno per qualche cultore del diritto che dovesse leggere questo commento) soffermarsi sul significato attribuito dalla Corte di Cassazione alla frase dopo la sua introduzione.

La regola in discorso, contenuta nell’articolo 533, comma 1, Cod. proc. Pen., inserita con la legge n. 46/2006, impone al giudice la verifica dell’ipotesi accusatoria secondo il criterio del dubbio, con la conseguenza che “il giudicante nella valutazione degli indizi per convalidare, sul piano logico-giuridico, il giudizio di colpevolezza deve effettuare la verifica in maniera da escludere la sussistenza di ragionevoli dubbi”. (Cass. pen., 24 ottobre 2011, n. 41110).

L’espressione mutuata dal diritto anglosassone, che trova fondamento nel principio costituzionale della presunzione di innocenza e nella disciplina della valutazione della prova, chiaramente riferita al giudizio di colpevolezza dell’imputato, in sintesi, sta a significare che la condanna è possibile soltanto quando vi sia la certezza processuale assoluta della responsabilità dell’imputato (Cass. pen., 21 aprile 2006, n. 19575; Cass. pen., 2 aprile 2008, n. 16357).

In altre parole, concludendo, il principio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio” rappresenta un limite alla libertà di convincimento del giudice, il quale non deve emettere una sentenza di condanna quando la debolezza degli elementi probatori sia combinata con l’indiscussa presenza di elementi idonei a sostenere un’ipotesi alternativa plausibile.

Il giudice dunque per emettere una sentenza di condanna deve esaminare tutto il materiale probatorio, valutando attentamente il contributo critico offerto dalla difesa e fornire una motivazione adeguata della propria decisione, specificando i motivi per cui nel caso specifico è possibile superare il ragionevole dubbio. In caso contrario, il Giudice è tenuto ad assolvere l’imputato.

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