Se si ruba per fame si può evitare la condanna?

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L’articolo 54 del Codice penale prevede la non punibilità di “chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”. Solitamente non viene riconosciuta la suddetta scriminante dello stato di necessità per bisogno attinente all’alimentazione. Notevole clamore mediatico ha suscitato nel 2016 una sentenza della Corte di Cassazione penale (Cass. pen. sent. 2 maggio 2016, n. 18248) che ha enunciato il principio di diritto secondo cui il furto per fame di una modica quantità di cibo non costituisce reato, in quanto scriminato dallo stato di necessità. La Cassazione, recentemente, si è pronunciata sullo stesso tema stabilendo ed indicando i “casi limite” in cui il furto di cibo può escludere la punibilità per stato di necessità

CASO DI SPECIE

Il caso di specie riguarda un uomo senza fissa dimora, denunciato in quanto responsabile del furto di generi alimentari (diverse confezioni di salumi e formaggi, per un valore complessivo di circa Euro 102,00).  Condannato in primo grado per il furto commesso, la Corte di Appello di Milano, decidendo sul ricorso in appello, confermava la decisione di condanna dell’imputato ritenuto colpevole, rideterminando la pena per la continuazione esterna con altro reato di furto. Tale decisione veniva impugnata con ricorso per Cassazione.  Il difensore dell’imputato, tra i motivi addotti, lamentava la mancata applicazione dell’articolo 54 del Codice penale “per non avere ravvisato la sentenza impugnata lo stato di necessità che aveva spinto l’imputato a sottrarre beni di genere alimentare, assumendo che lo stato di non fissa dimora non dimostra di per sé la sussistenza della scriminante, e che la quantità dei beni sottratti non può essere ritenuta necessaria per soddisfare un bisogno primario”. Con sentenza depositata il 22 maggio 2023, la Cassazione escludendo l’operabilità della scriminante per il caso sottoposto al giudizio di legittimità, ha delineato in quali situazioni può trovare applicazione anche per il furto di generi alimentari.

DECISIONE DELLA CASSAZIONE

I giudici di legittimità in via preliminare richiamano l’attenzione sul fatto che per l’applicabilità dello stato di necessità l’imputato deve provare “di aver agito per insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile, e di non aver potuto sottrarsi al pericolo minacciato”. In mancanza di tale dimostrazione c’è “l’esclusione dell’operatività della norma in esame”. Nel caso di specie, viene precisato, la Corte territoriale si è attenuta ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di stato di necessità e furto di generi alimentari. Infatti, ha escluso lo stato di necessità, in primo luogo perché alle esigenze delle persone che versano in stato di estremo bisogno possono provvedere gli istituti di assistenza sociale e su tale circostanza nulla di concreto ha contrapposto il ricorrente. In secondo luogo, “perché anche la quantità dei beni sottratti (diverse confezioni di salumi e formaggi, per un valore complessivo di circa Euro 102,00) non era compatibile con l’esigenza di soddisfare un impellente bisogno primario: la causa di giustificazione dello stato di necessità deve essere, infatti, ricollegabile ad un bisogno impellente, e dunque a una sottrazione minimale, esigua, destinata ad una immediata soddisfazione dell’esigenza alimentare (non diversamente soddisfabile e purché pur sempre imposta dalla necessità di evitare il pericolo di un danno grave alla persona)”

Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

CONCLUSIONI

La Cassazione, in applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, con quest’ultima decisione, ha ribadito che la situazione di indigenza, non giustifica il furto di alimenti per sfamarsi. Qualsiasi pericolo derivante da mancata alimentazione può essere evitato rivolgendosi agli istituti che prestano assistenza sociale  Di conseguenza, non può essere riconosciuta la scriminante “al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perché la possibilità di ricorrere all’assistenza degli enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l’aiuto agli indigenti ne esclude la sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo grave alla persona”.

Dando tutto ciò per assodato, tuttavia, “al fine di evitare un rigido automatismo applicativo”, viene specificato che, comunque, tale scriminante dello stato di necessità può essere applicata anche con riferimento alla esigenza di far fronte a un bisogno quale può certamente essere quello alimentare. La mancanza di cibo, in determinate circostanze, ben potrebbe compromettere la salute della persona, “si deve però escludere in modo assoluto la sussistenza di ogni altra concreta possibilità, priva di disvalore penale, di soddisfare diversamente quel bisogno evitando il danno altrui”.
Tale pronuncia, quindi, contribuisce a fare chiarezza sulla tematica giuridica, sotto il profilo giurisprudenziale, relativa al furto di piccole quantità di alimenti, consentendo la possibilità di riconoscere tale causa di giustificazione nei casi in cui ricorrano circostanze particolari, (casi gravi non dilazionabili) tali da impedire all’autore del reato di avvalersi degli istituti in grado di provvedere ai suoi bisogni alimentari. Ma deve trattarsi di “un bisogno impellente”, e deve riguardare “una sottrazione minimale, esigua, destinata ad una immediata soddisfazione dell’esigenza alimentare”.