A proposito di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la Cassazione penale ha fissato un innovativo principio nell’ambito del diritto di famiglia. Prima di emettere una sentenza di condanna, il giudice deve effettuare un bilanciamento tra il diritto dei figli di ricevere il mantenimento e quello del padre di badare autonomamente ai propri bisogni primari. Ad un genitore, obbligato a pagare l’assegno, deve essere consentito di fare quelle spese indispensabili per non cadere in uno stato di indigenza. Per i giudici di legittimità, il fatto di “assicurarsi un livello di vita dignitoso costituisce la soglia minima insuperabile, all’interno della quale non può imputarsi alcuna responsabilità penale”.
LA VICENDA
Un uomo è stato condannato dal Tribunale per aver omesso il versamento del mantenimento in favore dei figli. Il reato del quale è stato accusato, è previsto e punito dall’articolo 570 bis del Codice penale e si consuma ogni qualvolta il soggetto non adempia agli obblighi di natura economica scaturenti dallo scioglimento, cessazione e nullità del matrimonio. Proposto l’appello, tale sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello. I due giudici di merito hanno deciso concordemente per l’attribuzione di una responsabilità penale “oggettiva” e quindi per la condanna nonostante il difensore avesse ben rappresentato e provato lo stato di bisogno patito dal padre.
RICORSO IN CASSAZIONE
Il ricorso che l’uomo per mezzo del proprio legale ha proposto in Cassazione, si fonda sull’assenza dell’elemento psicologico del reato, ossia della volontà di omettere il versamento di quanto dovuto per il mantenimento. L’obbligato, avrebbe voluto versare l’assegno, ma era di fatto impossibilitato a farlo. Apro una parentesi per dire che, volendo condensare in poche righe, migliaia di pagine scritte su quello che viene definito “elemento psicologico del reato”, si può dire che, sono considerati elementi psicologici del reato il dolo e/o la colpa e che sono necessari per poter considerare penalmente rilevante un fatto delittuoso attribuibile ad un soggetto.Tornando al ricorso, nello specifico, la decisione di condanna impugnata viene censurata per non aver considerato “lo stato di incolpevole impossibilità economica”, causato dalla perdita di lavoro e dai falliti tentativi di trovarne uno nuovo. Secondo il ricorrente, il primo giudice e la Corte d’appello non hanno dato alcun rilievo a quanto prodotto in giudizio, circa le ripetute richieste di sovvenzioni e prestiti rivolte dal ricorrente a istituzioni, parenti ed amici per il proprio sostentamento. Tale documentazione doveva essere considerata prova dell’impossibilità assoluta di adempiere agli obblighi di mantenimento.
DECISIONE DELLA CASSAZIONE
La Cassazione penale, con la Sentenza del 5 settembre 2022, n. 32576, analizzando il motivo di ricorso relativo alla mancanza di intenzione (colpa) da parte del ricorrente, condivide l’assunto secondo cui i giudici di merito avrebbero dovuto effettuare una valutazione delle ragioni sottostanti, tenuto conto della concreta situazione di fatto prospettata, senza addebitare in modo “automatico” una responsabilità penale al padre per il mancato versamento del mantenimento. I giudici di legittimità, confermano la correttezza del principio richiamato dalla Corte d’Appello circa la necessità di verificare che l’impossibilità di effettuare il versamento debba essere “assoluta”, ossia “debba risultare da elementi ulteriori rispetto alla sola disoccupazione, quali l’assenza di introiti diversi da quelli derivanti da un rapporto di lavoro”. A patto, però, che per assoluta “non si intenda uno stato di indigenza totale dell’obbligato, tale da rendere quest’ultimo del tutto privo dei mezzi di sostentamento, come evidentemente ritenuto in appello”. Aggiungono poi i Giudici che pur dovendo assegnare prevalenza alla tutela dei figli e in ogni caso ai familiari c.d. “deboli”, occorre compiere una valutazione concreta del caso, in modo da valutare gli interessi contrapposti in ottica di proporzionalità. Entrano in gioco in tal modo diversi fattori di cui il giudice deve tener conto, esemplificati nel modo seguente:
- importo delle prestazioni imposte;
- disponibilità reddituali dell’obbligato;
- necessità dello stesso di provvedere a proprie esigenze di vita egualmente indispensabili (tra cui vitto e alloggio);
- solerzia nel reperimento di nuove e/o ulteriori fonti di reddito;
- contesto socio-economico dell’obbligato, al fine di comprendere le effettive possibilità di questi di corrispondere il dovuto.
PRINCIPIO DI DIRITTO
Il mantenimento di un livello di vita dignitoso costituisce, secondo gli Ermellini, la soglia minima insuperabile, all’interno della quale non può imputarsi alcuna responsabilità penale ad un genitore che omette il mantenimento dei figli.
Nell’effettuare la valutazione il Giudice di merito deve considerare come elemento di bilanciamento, tra le risorse economiche del padre e il diritto dei figli di vedersi corrispondere il mantenimento, il criterio della “sopravvivenza dignitosa”, nel senso che al genitore obbligato non può essere preclusa la possibilità di effettuare spese per provvedere autonomamente ai propri bisogni primari, conducendo una vita dignitosa, trattandosi di diritto non comprimibile.
La Cassazione ha quindi accolto il ricorso del padre, condannato in primo e secondo grado, e rimesso gli atti alla Corte d’Appello perché provveda ad effettuare una nuova disamina del caso, alla luce del principio di diritto enunciato nella decisione in commento.