Nel pomeriggio dello scorso venerdì 7 luglio si è svolto, presso la sede dell’ALFAD (Associazione Libera Fanciulli Adulti Disabili) di Velletri un bellissimo e significativo incontro di laboratorio musicale: tale incontro, tenuto dal professore di musica Marcello Tosti coadiuvato da alcuni collaboratori e volontari, ha visto la partecipazione di diversi disabili accompagnati dalle loro famiglie, nonché la presenza di persone amiche o comunque sensibili al tema della solidarietà sociale ed umana nei confronti di persone affette da disabilità psicofisiche più o meno gravi che ne limitano le capacità di autonomia.
Le iniziative di laboratorio musicale si affiancano ad altre attività che vedono la propria realizzazione all’interno della sede dell’ALFAD di Velletri, dal laboratorio teatrale alla cucina: il tutto è concepito in un programma di inclusione del soggetto disabile in attività di partecipazione a gruppi di lavoro che ne stimolino e favoriscano l’integrazione con altri soggetti disabili e non. Si tende, in questo spirito, a voler creare quelle condizioni che facciano sentire il singolo individuo come elemento importante, anzi fondamentale, all’interno di un meccanismo fatto di accoglienza, amicizia e collaborazione solidale. Il laboratorio di cucina, ad esempio, tende in concreto a far sentire i vari soggetti come elementi fondamentali di un processo produttivo e quindi ad accrescerne lo stesso senso di autostima e fiducia in se stessi.
Non è la prima volta che mi trovo a partecipare ad iniziative nelle quali è coinvolta anche l’ALFAD ed ogni volta è per me come assistere ad una grande lezione di vita che apre il cuore e la mente, perché è quella lezione che assume soprattutto il ruolo di cassa di risonanza della nostra stessa coscienza: Cosa siamo disposti a fare noi veramente per il prossimo? La nostra empatia nei confronti di chi vive in uno stato di bisogno o di disagio è un sentimento che rimane solo tale o può tradursi in azioni di impegno concreto? Siamo veramente in grado di renderci conto di cosa significhi vivere una condizione di sofferenza?
Non siamo ipocriti e riconosciamo di vivere in una società egoista alla cui cattiva coscienza collettiva spesso ognuno di noi si trova a dare, anche inconsapevolmente, il proprio, se pur impercettibile ma sempre costante, contributo quotidiano. Mi domando: se una Associazione come l’ALFAD (o qualsiasi altra Associazione che operi con altrettanto merito sul nostro territorio) rischiasse per un qualsiasi malaugurato motivo di essere sfrattata dalla propria sede, quanti di noi sarebbero disposti di fatto a scendere in piazza e protestare pubblicamente sotto le sedi istituzionali per reclamare il sacrosanto diritto di quella stessa Associazione ad operare in serenità, continuando la propria meritevole attività sociale e di assistenza a soggetti bisognosi e alle loro famiglie? Quanti di noi sarebbero disposti a rinunciare all’equivalente di un pasto per tradurlo concretamente in un atto di solidarietà nei confronti di una simile Associazione? E quanti di noi sarebbero disposti ad offrire un pomeriggio per partecipare alle attività che coinvolgono la presenza di portatori di disabilità? Quanti di noi si rendono conto che la sola propria presenza assumerebbe il significato di un grande atto di testimonianza, di vera umanità che fa bene al prossimo ma anche a noi?
Siamo immersi in un contesto di ipocrisia totale che coinvolge la sfera politica, dei rapporti sociali ed umani: l’ipocrisia sembra esser divenuta una fondamentale componente antropologica di una Italia (ma io direi anche di un intero Occidente) ormai invecchiata, stanca, chiusa nel proprio egoismo; una Italia ormai sorda a qualsiasi richiamo di umanità che è il solo irrinunciabile fondamento di una vera civiltà, perché senza umanità non c’è vera civiltà, come mi sovviene di dire parafrasando le parole di Don Luigi Ciotti, il quale afferma che senza giustizia non c’è vera legalità.
Il Prof. Umberto Galimberti, un filosofo veramente di grande spessore, dotato di altrettanto grande cultura ed acume in campo storico, sociologico, psicologico ed antropologico, ha più di una volta dichiarato che, volenti o nolenti, dobbiamo riconoscere che la cultura italiana è improntata su una matrice cristiana e più specificamente cattolica: questo vale anche per chi si professa ateo o comunque non credente, in quanto sono i canoni e le categorie di pensiero quei fattori sui quali si conforma un nostro sentire, un nostro stile espressivo, i nostri ragionamenti e la nostra stessa “Weltanschauung”. Che ci piaccia o no, viviamo in una società che, sebbene si sforzi di dichiararsi laica, permane profondamente intrisa di cattolicesimo. Le stesse Istituzioni dello Stato non hanno mai rinunciato a richiamarsi ad una tradizione cattolica e lo stesso attuale governo tende manifestamente a farsi promotore e paladino (più di quanto lo abbia fatto qualsiasi precedente governo) dei più squisiti valori cattolici (salvo poi vedere quanta coerenza vi sia o meno nella maggior parte degli uomini politici circa l’improntare la propria vita all’insegna di questi tanto sbandierati valori!). Ora io, non cristiano (e perdonatemi se insisto spesso nel rimarcare il fatto di provenire da altra cultura, in parte israelita, ma eminentemente laica), in tutto questo manifesto cattolicesimo vedo altrettanta incoerenza fatta di indifferenza verso i bisognosi, arrivismo, egoismo ed edonismo; vedo noia e disimpegno; vedo corruzione, intolleranza, contrapposizione ideologica e prepotenza; vedo il primato tutto italiano con il record dei femminicidi e delle violenze in famiglia; vedo ancora un nostro primato nelle morti sul lavoro, nel fenomeno del caporalato e dello sfruttamento; vedo ancora un altrettanto nostro primato nei reati contro l’ambiente e nella becera insensibilità della classe politica sui temi ambientali e della cura e salvaguardia del territorio; vedo insomma tutto ciò che è la totale e più recisa negazione dello stesso messaggio cristiano. In definitiva, la nostra stessa società si manifesta negli stessi comportamenti ed atteggiamenti collettivi, nelle stesse scelte politiche e nei conseguenti orientamenti, come il peggior consesso anticristiano, perché antiumano, perché antisolidale ed egoista.
Nel Vangelo di Luca (Lc. 14; 16-24) e Matteo (Mt. 22; 1-14) si narra di un re che manda a chiamare gli invitati ad un banchetto nuziale, ma nessuno di loro risponde perché presi dai loro affari. Allora, visto ciò, quel re mandò i propri servitori a rivolgere l’invito ai più umili, ai poveri, agli storpi, agli sciancati ed ai mendicanti e la sala del convivio si riempì di persone piene di gratitudine. Coloro che invece avevano rifiutato l’invito del re si trovarono quindi fuori e mai poterono più partecipare a quello o ad altro banchetto.
Le parabole del Vangelo non sono belle fiabe, ma aneddoti (il termine “parabola” è la traduzione dall’ebraico “midrasch”, che significa per l’appunto aneddoto, esempio) ed in questa citazione evangelica si ritrova quella morale che si può tradurre in breve così: occhio a voi egoisti, indifferenti, cui sono cari solo la propria ricchezza, i propri privilegi ed il proprio tornaconto; occhio a tutti voi, perché potrebbe venire un tempo in cui ci sarà una porta pronta per essere sbattuta in faccia a voi e ai vostri figli!
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