Aveva le scarpe sfondate e in dosso un paio di pantaloni col cavallo calato; dalle spalle gli scendeva fin su la cintola un maglione leggero che copriva a stento il corpo striminzito, impregnandolo in compenso di un odore acre di nafta. Gli occhi erano vivi, luminosi, anche se cercavano di nascondere un’evidente tristezza.
Ha solo tredici anni il ragazzo, ma il suo girovagare lo fa sembrare più grande, più grande della madre che lo ha abbandonato, più grande del padre che lo tiene come garzone nell’officina, più grande dei nonni materni che sembrano essere gli unici a dimostrargli qualche attenzione.
Alex (così mi piace chiamarlo) una domenica, quasi per caso, è piovuto in chiesa e l’ho trattenuto nei pressi dell’altare tra i bambini che per l’innata loro crudeltà iniziarono a prenderlo in giro.
L’aggressività, che si manifesta come unica risorsa in chi subisce ingiustizie, non può essere condannata tout court. Alex reagì a suo modo contro quei bambini dal comportamento ingiusto. Ingiusto come ingiusti furono i professori, quando lo bocciarono, avendo lui, nella esuberanza di un falso protagonismo, demolito mezza parete della sua classe. Ingiusto come ingiuste furono le note che i professori gli misero per la sua costante cattiva condotta. Ingiusto come ingiusto appare oggi ai suoi occhi il mondo intero, perché lui, si sappia, ha il solo torto di essere nato in una famiglia sbagliata.
In chiesa Alex, a quei quattro marmocchi che ridacchiavano maliziosi, non rispose con violenza, ma, facendosi largo, sedette tranquillo sulla stessa panca, come se quello spazio gli fosse dovuto: alla stupidità innocente dei bambini, lui, fringuello implume, oppose con orgoglio la sua acerba personalità.
Piacque al sacerdote il comportamento di Alex, tanto che nella messa della domenica successiva lo coinvolse durante l’omelia, perché l’amore che si legge nel vangelo e che si predica dagli altari fosse vissuto dai bambini nelle situazioni concrete in cui essi stessi sono i protagonisti, in cui i grandi, a loro volta, sono chiamati a essere gli educatori.
E gli effetti non si fecero attendere.
Americo - Domenica il sacerdote ci ha fatto conoscere un bambino che ha dei problemi in famiglia: la mamma lo ha abbandonato e lui sta col papà. Io, rispetto a lui, sono più fortunato perché ho tutti e due i genitori a casa con me. Mio papà però lo vedo poche ore al giorno perché lavora sempre; si alza la mattina quando è ancora buio, torna per il pranzo, poi va di nuovo a lavoro e torna la sera tardi, quando noi abbiamo già cenato. Lui non ha tempo per stare con me, per venirmi a prendere a scuola, per aiutarmi a fare i compiti. Questo mi dispiace e lui dice che, se non va a lavorare, noi non possiamo stare bene.
Quella domenica, in quella messa, qualcosa aveva colpito l’immaginazione di un bambino di un bambino normale, di un bambino che nella quotidianità subiva l’assenza “giustificata” del papà.
Quando nell’omelia non si agitano vessilli che svolazzano inutilmente, ma si propongono brani di vita vissuta, la Parola entra in presa diretta con le coscienze e queste, aiutate a oltrepassare i limiti degli interessi privati, raggiungono problematiche dal profilo più ampio, più comunitario, più cristiano… come in questo caso.
I bambini con la storia di Alex nel cuore ebbero modo di riflettere sulla propria famiglia e qualche genitore colse l’occasione per decidere sulla necessità di colmare il vuoto delle giornate solitarie dei propri figli.
E il vuoto sono le ore che i figli passano senza controllo dinanzi al televisore; il vuoto è il tempo che gli adolescenti trascorrono a navigare su internet senza criterio alcuno; il vuoto è la solitudine e la noia che si consumano all’interno di certi appartamenti, dove, anche se i frigoriferi sono pieni di derrate e le stanze traboccano di giocattoli, nell’aria manca comunque una voce, la voce che dica qualcosa di buono… Quel vuoto, se lasciato tale dall’indifferenza dei genitori, più in là potrebbe essere colmato da amoricchi trasandati, da rapporti intimi senza protezioni, da prove scellerate di spinelli infidi o da nefaste frenesie di violenze assurde.
Alex non ha bisogno di essere commiserato: la sofferenza che ha indurito il suo cuore non trova sollievo in piagnistei inutili, né desidera assaporare giustizia dalle condanne che spontanee potrebbero scaricarsi su i suoi genitori… Lui è cosciente di avere sbagliato famiglia, nascendo, e quel che desidera ora rispecchia un orgoglio che dovrà salvarlo dall’inedia.
Alex, che ha 13 anni, nelle domeniche successive al primo incontro è tornato a trovarci… più rassettato nei vestiti, con meno odore di nafta addosso e con le scarpe quasi nuove. I bambini, che all’inizio si prendevano gioco di lui, ora sono più tranquilli e, per merito di una storia raccontata loro, sono più consapevoli del bene che hanno acquisito col nascere in famiglie normali.
Alex deve fare ancora la prima comunione. Pare intenda ricevere questo sacramento con i bambini ai quali ha incominciato a sorridere… Se ciò accadrà, anche per lui ci sarà un giorno “bello”, magari in compagnia del papà che finalmente, avvicinandolo, gli terrà la mano sulla spalla… per la foto ricordo.