Una lezione di civiltà: il Parco dell’area verde di Largo “Peppino Impastato” di Velletri
Viviamo in un Paese che attualmente sta dando un pessimo esempio di mancanza di memoria storica a tutti i livelli. È un po’ un vezzo italiano porre nel dimenticatoio tanti misfatti e carenze le cui responsabilità possono attribuirsi un po’ a tutti: Istituzioni, Amministrazioni Pubbliche, partiti politici, gruppi di potere economico, ma anche singoli cittadini. Un esempio di ciò ce lo hanno offerto le tragedie come quella del crollo del Ponte Morandi a Genova e le alluvioni di questi ultimi anni che hanno devastato interi territori del nostro Paese: se si fosse mantenuta memoria delle tragedie del passato, nell’arco degli ultimi decenni ci si sarebbe impegnati in uno studio serio e fattivo delle peculiarità orografiche ed idrogeologiche dei nostri territori; si sarebbero investite risorse economiche ed umane in veri e propri interventi di monitoraggio e progettazione ambientale; si sarebbero compiute opere di riforestazione e ripristino di ambienti originari ove questo fosse possibile. I nostri padri trattavano il territorio con molto più rispetto di quanto abbiamo potuto fare noi negli ultimi sessanta o settant’anni: il contadino di una volta aveva molta più saggezza dei nostri attuali amministratori e uomini politici, i quali non hanno fatto altro che evitare di impedire che consumo di suolo, cementificazione selvaggia, deforestazione, inquinamento di terreni, acqua ed atmosfera raggiungessero gli attuali allarmanti livelli; anzi, sembra che certi amministratori non abbiano fatto altro che indulgere a tutto ciò. Educare ad una memoria storica come fattore inderogabile nella cultura civica dei cittadini sembra non sia stato proprio nel programma di alcuna forza politica: in questo caso, quei cittadini forti di una robusta formazione e coscienza civica costituita di ricordi e conoscenze di fatti del passato, di capacità critiche e di analisi sarebbero divenuti scomodi controllori dei metodi e delle modalità di gestione della cosa pubblica.
Un altro esempio di mancanza di memoria storica è dato da quel nefasto fenomeno, divenuto sempre più marcato ed esteso, che prende il nome di revisionismo storico e negazionismo: abbiamo assistito a quella operazione di “minimizzazione” e mera mistificazione di fatti storici, vera anticamera del negazionismo, da parte di alte cariche dello Stato. In questo contesto si è teso a mortificare la storia della lotta di liberazione dal nazifascismo ed a sminuire lo stesso valore e la portata della Resistenza; nella più totale malafede si è teso a minimizzare, se non a tentare di cancellare, il ricordo delle gravi responsabilità italiane nei più atroci crimini, che vanno dai massacri compiuti dagli Italiani in Jugoslavia, in Libia, in Etiopia ed Eritrea, misfatti che portano la firma di criminali come il famigerato generale Graziani. Si è inoltre teso a far dimenticare che il fascismo fu un vero e proprio fenomeno di delinquenza politica, nato dallo squadrismo che tendeva all’eliminazione fisica dell’avversario, come fu nel caso Matteotti. Il fascismo fu regime forcaiolo, che del confino e della galera ne faceva strumento istituzionale per “impedire a cervelli di pensare”, come nel caso di Antonio Gramsci, o per stroncare qualsiasi tentativo di organizzazione di una lotta di opposizione, come fu nel caso di Sandro Pertini e tanti altri. Obliare storia e memoria storica significa in definitiva portare la coscienza collettiva di un popolo verso uno stato di totale ignoranza e decadenza, significa condannare un intero Paese a rovina certa e totale: questa è la più grave e più oscena ingiustizia che si possa commettere nei confronti di una nazione, della sua cultura e della sua storia.
Ho personalmente avuto l’onore di conoscere Don Luigi Ciotti, il quale si è sempre battuto in difesa della legalità, dello stato di diritto, contro ogni forma di mafia e criminalità organizzata. Orbene, una tesi di Don Ciotti consiste nell’affermare che non esiste vera legalità senza giustizia. Se l’operato dello Stato e le sue leggi nascono e si attuano nell’ingiustizia, quello Stato va combattuto, perché non è uno Stato sano e le sue leggi sono malsane. Le leggi razziali fasciste del 1938 non erano leggi degne di essere rispettate: esse furono una vera nefandezza, una macchia sulla nostra stessa storia, un crimine allo stato puro; solo per questo lo Stato fascista avrebbe già meritato di essere combattuto ed abbattuto.
Ho sopra asserito che il fascismo fu fenomeno di delinquenza politica e qui lo riaffermo con forza e vado oltre nel riconoscere che esiste un parallelismo fra fascismo e mafia. In una analisi gramsciana di ispirazione marxista si arriva a riconoscere come il fascismo fosse strumento di certa borghesia imprenditoriale, delle classi padronali e latifondiste, le quali, nella loro insaziabile sete di potere e denaro, tendevano a fare dello sfruttamento dei lavoratori, delle classi subordinate e dello stesso territorio il loro precipuo strumento di dominio. La mafia agisce con gli stessi meccanismi e per simili fini: dalla violenza fisica contro chiunque venga considerato un avversario o un ostacolo, allo sfruttamento della forza-lavoro come nel caso del fenomeno del caporalato. Nella storia i due fenomeni si intrecciano, si danno la mano e vanno sotto braccio perché i fini sono gli stessi ed i mezzi pure. Per questo io, già in una occasione, ricordando la figura di Peppino Impastato, l’ho accostata a quelle belle e grandi figure di tanti partigiani che hanno fatto la nostra Resistenza; per questo mi sento di considerare come vere e grandi figure di partigiani della libertà quei magistrati come Falcone e Borsellino: essi, a prescindere da qualsiasi orientamento politico o ideologico fosse il loro, hanno combattuto con il coraggio di veri partigiani per la lotta di liberazione contro ogni forma di delinquenza e criminalità, contro ogni forma di violenza e prevaricazione. Chi si professa antifascista non può quindi non professarsi contro ogni mafia, conscio dell’importanza del ricordo e della memoria storica: senza memoria storica non vi può essere coscienza civica alcuna e si predica solo una legalità falsa ed una politica ipocrita.
In questa visione delle cose, diciamo pure in questa filosofia e con questo spirito, un gruppo di liberi cittadini di Velletri si è riunito il giorno 24 maggio scorso nel tardo pomeriggio presso il giardino afferente al Largo intitolato a Peppino Impastato non molto distante dalla stazione ferroviaria della cittadina dei Castelli Romani. Si è voluto così commemorare la figura del giudice Falcone assassinato dalla mafia il 23 maggio 1992 in località Capaci in Sicilia.
Recuperare un’area verde, altrimenti in abbandono e divenuta una sorta di discarica, ripulendola, curandola e facendola divenire luogo di incontro: è stata questa una lezione di civiltà e legalità che un gruppo di privati cittadini hanno voluto dare all’indifferenza della politica, perché non esiste malattia più nefasta e mortifera di quell’indifferenza fatta di alzate di spalle e di voltarsi dall’altra parte di fronte ai problemi del territorio, indifferenza che uccide ambiente, coscienza civica, senso di solidarietà, cultura; indifferenza che uccide la stessa civiltà, la stessa dignità umana, la stessa vita.
Lucio Allegretti