Ultimo aggiornamento:  26 Luglio 2021

Una rete che può intrappolare. Genitori e figli nell’era social

L’interesse dell’opinione pubblica fa eco alla tragedia avvenuta a Palermo, in cui una bambina di soli 10 anni partecipa ad una sfida estrema, una dimostrazione di coraggio lanciata su uno dei social più frequentato ed amato dai teenagers, Tik tok. Il “Blackoutchallenge” consiste in un’assurda prova di resistenza in cui vince chi riesce a rimanere senza respiro il più possibile. Per questo motivo, la bambina si annoda attorno al collo una cintura, non riesce a fermarsi in tempo e muore asfissiata nel bagno della propria casa. Tragedie simili, legate al fenomeno delle sfide estreme partite dai social, sembrano ormai accadere con una certa frequenza e coinvolgere ultimamente la fascia di pre-adolescenti, per lo più ragazzi sotto i 13 anni, un’età tendenzialmente più bassa rispetto a ciò che abbiamo registrato finora relativamente al mondo del web.

Ci si misura nelle challenge forse per un gioco trasgressivo, per ottenere una parvenza di popolarità, riconoscimento sociale che faccia sentire appartenenti e stimati, per ritagliarsi un ruolo all’interno di una community. Cosa accade dal punto di vista neuropsicologico? L’uso dei social network e di quelle applicazioni che promuovono delle social challenges, stimolano il circuito neurale dopaminergico, che attiva ed incrementa la produzione della dopamina. Una più elevata concentrazione di questo neurotrasmettitore suscita una sensazione di piacevolezza e un senso immediato di gratificazione che induce la persona alla ripetizione del comportamento in oggetto, proprio al fine di continuare a ricercare ulteriori esperienze gratificanti. Attiva in altre parole il cosiddetto ‘sistema di ricompensa’. Il cervello dei più piccoli è particolarmente vulnerabile a tali meccanismi di gratificazione poiché lo sviluppo psicologico non è ancora completamente formato e il sistema limbico, sede emotiva e comportamentale, non è ancora sufficientemente strutturato. Per questa ragione nelle fasce di età minori si registra una maggiore tendenza all’impulsività e alla soddisfazione momentanea, legata all’aspetto imitativo del comportamento, che viene considerato dal bambino come un’attività ludica e di competizione tra pari. Vi è infatti ancora un’incapacità nella pianificazione delle proprie azioni e nel tener conto delle loro conseguenze e possibili risvolti.

Per questa ragione, non avendo sufficienti strumenti di valutazione, si incorre molto spesso ad una sottostima del reale pericolo a cui ci si espone. Oltre le considerazioni scientifiche, questo tragico evento solleva interrogativi e riflessioni che ci permettono di situare il gesto di una bambina nel un contesto sociale ed educativo che interessa la comunità intera. Per primo, il fenomeno dell’utilizzazione indiscriminata dei social network, che trova come maggiori fruitori proprio i preadolescenti e gli adolescenti. Certamente, questo periodo di relazioni a distanza e di socialità in remoto non ha che acuito le “relazioni liquide”, ed infragilito i vincoli con le persone intorno a noi. Una tendenza che più di tutti ha colpito proprio i ragazzi, che in particolare hanno sofferto lo stravolgimento della vita relazionale, l’assenza delle consuete agenzie educative e dei momenti di contatto reale che quasi sempre avveniva in contesti ed attività di gruppo. In tempi di restrizioni e pandemia gli strumenti tecnologici hanno soppiantato questo vuoto, conquistando in definitiva un ruolo cardine come canale relazionale d’elezione. L’accesso al mondo social, mediante l’uso delle diverse piattaforme, è ormai sdoganato anche per i più piccoli, che solitamente gestiscono i propri profili in maniera autonoma e senza la supervisione e il controllo degli adulti. Si tratta di un incontro non mediato del bambino con un mondo che veicola valori e codici propri, spesso distorti ed esasperati, che fanno da risonanza alle tendenze competitive e prevaricanti della società reale. I numeri totalizzati di like e visualizzazioni divengono la sublimazione del bisogno di essere visti, di sentirsi parte attiva di un contesto ideale, in cui poter camuffare la fragilità, filtrarla per sentirsi accettati e degni di esser considerati positivamente dall’altro.

Essere genitori ai tempi dei social network è una sfida che porta con sé molti livelli di complessità. Implica la necessità di accompagnare il bambino verso uno sviluppo di una consapevolezza digitale che possa facilitarlo nella maggiore comprensione dell’utilizzo di tali applicazioni, della natura delle proprie interazioni e del significato del limite. Coinvolgere attivamente i propri figli nel dare senso all’esperienza sociale mediata dalle app, permette di riflettere insieme sulla necessità di stabilire limiti e regole, non attraverso l’imposizione e la punizione, ma mediante una condivisione e compartecipazione alla vita social del bambino. Poter riflettere insieme, informare sui rischi potenziali, manifestare interesse per la loro visione del mondo e per il significato delle loro esperienze reali e virtuali, permette di contrastare l’alienazione da schermo, stimolando lo sviluppo di un senso critico e la sensazione di essere ascoltati ed accolti nelle loro domande, bisogni e vissuti. Riconoscere infine che la possibilità di educare il bambino spesso passa attraverso un esempio da parte dell’adulto, reale ed autentico, capace di influenzarne i comportamenti e di produrre un effetto positivo sulla loro vita. Restando in ascolto e mantenendo un dialogo aperto con ragazzi è possibile pensare ai social network in modo diverso, come uno spazio in espansione nella cui esplorazione i bambini non devono esser lasciati soli.

Dott.ssa Luigina Sista Psicologa Psicoterapeuta

Photo Credit http://www.iheartthestreetart.com

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