Valorizzare la luce, illuminare e meravigliare: la mission quotidiana di Federico Ognibene (ILM Lighting Velletri)

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Una vita spesa a illuminare e quindi a valorizzare la luce, un elemento naturale che esiste da sempre e del quale non si può fare a meno. Dialogare con Federico Ognibene, illuminotecnico, docente e titolare dell’eccellenza veliterna ILM Lighting è come entrare in universo parallelo: non ci si limita, infatti a enucleare i lavori svolti – molti dei quali prestigiosi e di calibro internazionale – ma viceversa si racconta attraverso quanto fatto negli anni una passione e un modo di vedere le cose in cui bisogna “entrare” per comprendere. L’Azienda di famiglia, ormai attiva da sessant’anni, ha lavorato per la televisione, valorizzato monumenti famosissimi, ridato dignità a opere d’arte e luoghi celebri sempre stando attenta a divulgare questo mestiere in tutte le sue sfaccettature. Federico Ognibene oggi è anche docente in importanti università e continua la missione ereditata da suo padre, ovvero quella di tirare fuori il bello da una prospettiva diversa, a partire dalla luce, insegnando anche ai giovani che è sempre possibile suscitare la meraviglia.

Illuminare è un’arte, ma per molti è sinonimo di accendere un interruttore. Partiamo da qui per capire nel dettaglio che cosa fa un illuminotecnico…

L’illuminotecnico è quella figura professionale che utilizza le proprie conoscenze per creare dei “sistemi di illuminazione”, ovvero crea una luce adeguata al contesto, che racconta, evidenzia, a volte nasconde, ma che – almeno a mio avviso – deve meravigliare: quando parlo di meraviglia parlo del senso più profondo ed ancestrale del termine, ovvero creare una sensazione di benessere e di felicità in armonia con il presente, con il luogo. In pratica, mi piace rendere visibile l’ovvio, e spesso chi vede una corretta illuminazione prova meraviglia, perché si è di solito abituati a vedere il mondo da quando siamo nati, ma spesso non si vede se non si è in condizione di vedere. È come la differenza che c’è tra sentire e ascoltare. Ci sono tanti tipi di illuminotecnici: quelli che progettano la luce in funzione dello spazio o del bene, quelli che realizzano gli apparecchi che servono per illuminare tali progetti, quelli che gestiscono la luce con dei sistemi di controllo che ne permettono le accensioni o le suddivisioni in piccoli gruppi, o c’è chi progetta il sistema di alimentazione elettrica in funzione del progetto illuminotecnico. Io di volta in volta svolgo uno o più ruoli di questo complicato ma bellissimo mestiere.

Quando è nata l’azienda di Velletri? E quando avete capito che avreste speso la vostra a vita a valorizzare la luce?

Mi sa proprio che quest’anno festeggeremo 60 anni di luce, anche se l’azienda nasce “ufficialmente” nel 1973, quindi solo 50 anni fa. Il fondatore dell’azienda è stato nostro padre (mio e di mio fratello Luca) Marcello, che prima – nel 1963 – entrò a lavorare giovanissimo per la Claude Neon, azienda francese di proprietà dell’Ing. Georges Claude, che nel 1915 inventò la lampada al neon. Dopo 10 anni di gavetta, e di cambi di società e mansioni, si trova a collaborare per la RAI come consulente per le lampade “speciali”, quelle che si trovavano negli studi televisivi. Quando l’azienda venne acquisita da una multinazionale americana, papà decise di provare a sviluppare un nuovo mercato, che era quello di illuminare le scenografie televisive. Verso la fine degli anni 70, con l’avvento della terza rete e delle prime trasmissioni a colori, gli scenografi della RAI si accorsero che non potevano più realizzare scenografie di legno e cartone, e così iniziò il periodo d’oro della scenografia italiana, dove gli scenografi televisivi italiani (tra i più grandi e importanti al mondo) iniziarono a sperimentare con i materiali e, grazie a papà, anche con la luce. Nel 1987 nostro padre ebbe un grave incidente stradale che lo rese impossibilitato a proseguire, e così iniziammo anche noi ad affrontare seriamente, non più per gioco, il mondo della luce. Nostro padre non c’è più, mi piacerebbe così tanto fargli vedere tutte le cose belle che abbiamo fatto.

Quali sono i luoghi più difficili da illuminare, tecnicamente e strutturalmente parlando?

Sono passati tanti anni ormai, e abbiamo seguito così tanti progetti che ho capito che non esistono progetti semplici. Ogni ambiente nasconde la sua complessità, potrei citare casa Italia per le Olimpiadi di Rio de Janeiro del 2016 o, fresca fresca, l’illuminazione della Cappella dell’Annunziata a Cori, oppure qualche bel festival di Sanremo, tipo quello del 1995 dove entrammo nel guinness dei primati.

Facciamo un esempio pratico: uno studio televisivo, per essere caldo, accogliente e adatto alle riprese, che rilevazioni richiede da parte di voi illuminotecnici?

Ogni studio è un ambiente a sé, perché molto dipende dalla trasmissione televisiva che viene trasmessa. Luci molto intense e vivaci per varietà e rotocalchi, oppure luci molto calde per programmi introspettivi. Ogni studio televisivo ormai dispone di luci preinstallate sui graticci, che permettono di creare la giusta atmosfera in relazione al contesto.

Un monumento, se illuminato, assume altre sembianze e lo abbiamo visto con la Torre del Trivio proprio a Velletri. Quali sono i monumenti che vi hanno dato più soddisfazione sul lavoro e quali sono le caratteristiche che di volta in volta si tengono in considerazione per operare? Ne hai illuminati tanti e prestigiosi…

Sono molto orgoglioso dei risultati ottenuti da ogni progetto, perché ognuno è stato pensato, valutato, provato, ed infine installato, quindi posso dire di non avere eccessivi rimpianti. Poi se si tratta di affetto, non posso che citare la Basilica di San Francesco d’Assisi, vero e proprio spartiacque per l’uso della tecnologia -led e di una concezione di utilizzare ottiche appositamente progettate per il bene. Le caratteristiche che vanno tenute in considerazione a mio avviso sono le stesse che si dovrebbero utilizzare per ogni sviluppo professionale, ovvero ascoltare, dialogare, interpretare. 

Non manca nella tua carriera l’illuminazione di parchi, grandi eventi, cerimonie…

Eh già, abbiamo partecipato all’illuminazione di quattro olimpiadi e a due competizioni mondiali del Solar Decathlon, di cui una vinta con l’Università  di Roma Tre in collaborazione con la Sapienza: nel 2014 diventammo campioni del mondo realizzando la casa più efficiente della terra. Per quell’occasione vincemmo anche il primo premio per il miglior progetto di Lighting Design, sbaragliando gli altri concorrenti provenienti da tre continenti diversi. Sono molto legato anche all’olimpiade del 2016 svoltasi a Rio de Janeiro, in quell’occasione ci chiamò il CONI per rappresentare l’Italia come una delle venti eccellenze del Made in Italy. Come si dice, da Velletri con furore….

L’azienda spesso ospita ragazzi dell’Università: che collaborazioni avete e con quali atenei? Cosa fanno, nel pratico, i ragazzi quando vengono a visitare la sede di Velletri?

Questo è un altro nostro orgoglio, tanti anni fa ci siamo aperti alla didattica, o come è più corretto dire nel nostro caso, alla divulgazione. Da anni ci vengono a trovare gli studenti del Master in Lighting Design dell’Università la Sapienza, ma anche varie accademie di Belle Arti, come ad esempio quella de L’Aquila o quella di Frosinone, oppure i ragazzi del dipartimento di architettura di RomaTre. Per me è fondamentale passare le nostre conoscenze ed esperienze, soprattutto a degli studenti che saranno il nostro futuro. In base all’indirizzo di facoltà strutturo le visite/lezioni in maniera diversa, ad esempio per i ragazzi del Master la lezione è molto più tecnica, dove parlo delle sorgenti luminose e di come progettare un apparecchio di illuminazione Led, o ad esempio facciamo insieme l’acquisizione di un solido fotometrico, cioè una rappresentazione tridimensionale dell’emissione di un apparecchio luminoso, per poterne conoscere la direzione attraverso lo spazio e la sua intensità luminosa. Per gli studenti di Belle Arti faccio invece una lezione sull’impatto della luce nelle scenografie televisive, parlando quindi di tricromia, scenotecnica e tanti aneddoti di “vita televisiva”.

Non è da meno l’esperienza di docente che ricopri in molte occasioni….

Sono docente del Master in Lighting Design della Sapienza, e docente di Lighting Design all’Accademia Italiana di Arte Moda e Design, dove insegno nelle sedi di Roma e Firenze e dove sono inoltre il coordinatore del dipartimento di Design (quindi Interior Design e Product Design) dell’indirizzo Magistrale nella sede Romana dell’Accademia. E’ un privilegio insegnare per Accademia Italiana, perché i nostri studenti vengono da ogni parte del mondo per imparare da noi italiani, che siamo tra i più apprezzati per la nostra cultura del design: le mie lezioni si tengono in doppia lingua inglese/italiano e per me è veramente una gioia. Molto spesso sono chiamato da varie associazioni, accademie e università per convegni ed incontri sul mondo della luce, oppure ho fatto parte di giurie internazionali, come ad esempio il Custom Prize o il premio Codega.

Qual è la difficoltà più grande nel tuo lavoro? I committenti sono ricettivi rispetto alle tue proposte quando ti chiamano per illuminare uno spazio?

Il mio lavoro è molto difficile, perché lavoro con un elemento che è da sempre presente in natura ed al quale non possiamo fare a meno, ovvero la luce. Quando viene proposto un progetto illuminotecnico, gran parte della riuscita del progetto sta nella sensibilità della committenza, perché tutti siamo abituati a vivere con la luce (solare o artificiale che sia), ma se si vive con la luce corretta si vive meglio! Un esempio pratico, senza andare troppo lontano, è proprio la Torre del Trivio di Velletri, prima del nostro intervento nessuno ha fatto caso a quanto la luce potesse valorizzare i nostri monumenti, ora in molti (anche semplici cittadini) continuano a contattarmi per chiedermi se è possibile illuminare quella cosa o quell’altra. Quando veniamo direttamente chiamati per progettare una nuova illuminazione è perché siamo professionisti riconosciuti; quindi, i nostri committenti sono solitamente più che ricettivi alle nostre proposte.

C’è bisogno di una cultura della luce nel concepire nuovi spazi, che siano pubblici, culturali o occasionali?

Assolutamente sì, per questo sono il primo a divulgare le nostre conoscenze e cercare di renderle più accessibili. Le associazioni di categoria non possono fare nulla se non sono supportate dalle amministrazioni, dai professionisti e dai cittadini, perché vivere o lavorare sotto una corretta luce migliora la qualità della vita di tutti. La luce è anche uno strumento di comunicazione, di aggregazione, di socialità. Io cerco di fare il massimo, mi spendo in tutte le battaglie e sono il primo che ancora si entusiasma davanti ad un progetto ben realizzato, io cerco solo di trasmettere alle persone ad avere più consapevolezza del nostro ambiente, il resto verrà da sé.