I costumi che indossano le appartenenti al gruppo delle zitelle velletrane sono preziose opere della costumista Marina Sciarelli, frutto anche della consulenza del Prof. Clemente Marigliani. Si tratta di fedeli repliche dalle stampe ottocentesche giunte fino a noi. Nel convegno tenutosi lo scorso 29 Agosto presso la Sala Marcello De Rossi del Polo Espositivo Juana Romani è stata la stessa Marina Sciarelli a ripercorrerne la storia e a descriverli nei dettagli.
L’avvocato Renato Mammucari nel suo contributo “Tra costume e tradizione” pubblicato sul pregevole volume “Le Zitelle alla dote attualità di una tradizione veliterna scriveva: “ Il costume è un modo di vestirsi in fogge non variabili nel tempo ma solo nello spazio, essendo tipico di una determinata località e anzi distinguendo da questa tutte le altre, anche le più vicine; il costume per tanto è il contrario della moda e diviene costume nel vero senso del termine solo e quando, consolidatosi nel tempo, è diventato caratteristico di una popolazione che si distingue proprio per questo”. Velletri si distingue proprio per i suoi costumi, due di questi sono stati indossati da Noemi De Rossi e Alessandra Mollica lo scorso 29 Agosto quale preziosa cornice alla serata la zitella alla dote, attualità di una tradizione veliterna.
Quello indossato da Noemi De Rossi è la replica dalla stampa di H. Pauquet del 1840 ed è stato realizzato nel 2002, esso si compone di una camicetta confezionata in cotone bianco con inserti di merletto, priva di collo e con scollo cuoriforme, con maniche lunghe che presentano inserti dello stesso merletto ai polsi ed è allacciata sul davanti con piccoli bottoni di madreperla stondati. L’abito è di velluto amaranto, ha piccole pieghe ai fianchi ed è guarnito sulla gonna da due file di passamaneria anni trenta, oro rosso e blu. Il corpetto attaccato alla gonna presenta una vistosa scollatura ricoperta di raso giallo lavorato con filo arancio e bordato di passamaneria oro.
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Le maniche più corte della camicia di foggia settecentesca, hanno il risvolto di seta tailandese azzurra a fiori blu, con bottoni in oro lavorato. La sottogonna è di tela blu con orlo di passamaneria di seta rossa operata. Il grembiule di cotone bianco operato a fiori presenta inserti dello stesso tessuto in oro blu, bordeaux, con vari disegni (greche, fiori, ecc) si allaccia sul dietro con un grande fiocco di seta oro lavorata e terminata con una fine frangia dorata. L’acconciatura è composta da due teli sovrapposti di fine lino bianco (originali dei primi del novecento) decorati con frange oro, bianche e passamaneria oro e un telo ha la sigla di appartenenza G.T. Una collana a due fili di corallo e orecchini di corallo e oro completano l’immagine del costume. Le calze sono di filo bianco. Le scarpe a ciabattina, con un piccolo tacco, sono rivestite con frange rosa antico e bianco.
Il costume indossato da Alessandra Mollica è stato realizzato nel 1998 ed è la replica di quello rappresentato nella stampa di Filippo Ferrari “Donna di Velletri” del 1841 anche esso è opera di Marina Sciarelli. Esso è composto da una gonna confezionata in seta oro operata a fiori, arricciata in vita, mentre la sottogonna è in cotone ecru, pieghettata in vita. La camicia originale del primo novecento è di fine cotone bianco con la pettorina completamente ricamata a mano, ha le maniche lunghe ed è allacciata sulla schiena con fitti bottoncini di madreperla. Il corpetto di velluto rosso è allacciato sui fianchi, scollato sotto il seno ed è ornato di passamaneria oro. Le maniche anch’esse di velluto rosso, sono staccate dal corpetto e presentano vistose nappe dello stesso tessuto alla sommità delle braccia. Sulle spalle un ampio fazzoletto di cotone bianco a forma triangolare è ornato da passamaneria bianca.
Il corsetto lavorato a forma di sellino, è di velluto blù con applicazioni floreali in filo d’oro, la sua allacciatura è composta di un nastro di velluto rosso è uno di raso blu che circondano la vita.
Il grembiule di tela di cotone bianco è interamente tessuto a ricamo. L’acconciatura in cotone bianco con ricami ed inserti di filo bianco è a forma triangolare, ai suoi vertici sono attaccate nappette dorate. Al collo vi è una collana di puro corallo ad unico filo. Le scarpine di velluto bordeaux presentano applicazioni che riprendono il corsetto in filo oro e passamaneria oro.
Lo spillone era il completamento dell’abito, esso o prezioso o di materiale povero aveva la funzione di fermare i capelli messi a crocchia o di fissare sulla nuca la maniosa. Essi divennero anche degli oggetti ornamentali realizzati da fini artigiani che differivano dallo staus della donna. La sposa indossava nel giorno delle nozze lo spillone o spadino contornato da quattro forcine, sormontate da una sfera liscia. Essi, uniti agli orecchini e alla collana costituivano uno dei doni in occasione del matrimonio. Lo spillone nell’atto di penetrazione nei capelli della ragazza assumeva un significato fallico, era stato collocato dallo sposo la mattina del matrimonio e significava l’avvenuta presa di possesso della donna da parte dell’uomo; quando la sera, nel segreto della loro alcova disciogliendo le chiome, lo sfilava con un gesto solenne, guardando negli occhi lo sposo, ne decretava la giocosa totale condivisione e accettazione.
Molto spesso lo spillone era per le donne dell’epoca anche arma di difesa dalle aggressioni frequenti anche all’epoca. Come ha raccontato la stessa Marina Sciarelli durante il convegno gli abiti non sono delle repliche propriamente perfette, perché Giulio Montagna chiedeva di non replicare gli abiti ma di interpretarli come avrebbero fatto le donne dell’epoca.
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