Vivere in una città e amarla significa anche difenderla. Una frase, questa, sempre veritiera e che trova nuova linfa nelle ultime dichiarazioni di Shany Martin, volto noto nel mondo del cinema e del cabaret: l’artista veliterno, in questa estate impegnato sia in tv con Marco Baldini che in radio con una trasmissione tutta sua oltre che in diverse piazze del territorio con i suoi show, ha affidato ai social network una amara riflessione che si conclude con un’esortazione accorata.
DIFENDERE L’IDENTITA’
Il motivo di queste dichiarazioni? L’ennesima conferma – qualora ce ne fosse bisogno – di un’immagine molte volte sbagliata di Velletri. Se, purtroppo, in tutta Italia si conosce poco la Torre del Trivio, si parla a stento della Pallade o del Sarcofago delle Fatiche di Ercole mentre è scontato e popolarissimo l’abbinamento al famoso “Fra Cazz”, un po’ di responsabilità è anche nostra. Curare l’immagine della città non significa rassegnarsi e dire che non si può fare niente se la gente identifica Velletri con un frate dal nome volgare o come un paesello di analfabeti rozzi.
LE PAROLE DI SHANY
“Oggi ho avuto l’ennesima amara conferma dell’immagine che per lunghi decenni la TV Italiana (e di conseguenza l’immaginario collettivo del nostro bel paese) trasmette della città in cui vivo, ossia Velletri. Ogni citazione, film di commedia, spettacolo e gag non ha mai perduto (appena la situazione lo permetteva) l’occasione per dipingerci come burini, bifolchi, contadini analfabeti senza arte né parte. Da Enrico Montesano (nello sketch anni ’80 in questa foto) a Enrico Brignano, attraversando i più grandi nomi dello spettacolo Italiano del ‘900. La brutta notizia è che è colpa di alcuni Veliterni (si dice Veliterni, non Velletrani) che nel corso degli anni hanno costruito questa immagine agli occhi dei turisti e del resto degli Italiani (soprattutto a Roma e ai Romani). Abbiamo un dialetto meraviglioso ma abbiamo sbagliato (e continuiamo a sbagliare) il modo in cui lo difendiamo. Credo che il dialetto (qualsiasi dialetto) mantenga il suo fascino e la sua bellezza non se lo si parla dalla prima all’ultima parola in un discorso più o meno logico. Ma rimane Storico – e quindi bello da scoprire – se all’interno di un discorso in Lingua Italiana si va a “sbragare” sul modo di dire paesano, sul proverbio o sull’intonazione che lo contraddistingue. Allora è lì che arriva l’occasione per raccontarlo, per tradurlo a chi non lo conosce, per passarlo di generazione in generazione fino a farlo diventare Tradizione con la T maiuscola. Gigi Proietti in questo è stato un Maestro. E alcuni artisti del posto (in particolar modo attori e cantanti) hanno una grande responsabilità che (almeno negli ultimi anni) ignorano, non riescono ad afferrare. Ecco perché non riesco a salvare nulla del nostro teatro dialettale locale. Ha spinto a costruire l’immagine del “Velletrano burino” col cappello di paglia e il fiasco di vino che in realtà descrive la più bassa (quasi ormai estinta) percentuale dei nostri luoghi. E soprattutto perché, con il suo repertorio, non dà la possibilità di essere capito a venti kilometri di distanza. E questo non fa che aumentare le distanze dal resto dell’umanità, non fa che innalzare le “mura” che agli occhi dei terzi ci confinano nel mondo dei burini, in una realtà tutta nostra che non ha futuro al di fuori del nostro cartello di benvenuto. Basta esserne coscienti… se è quello che ci rende felici, allora pace fatta. Ma dovremmo riuscire a capire che il Veliterno (o Velletrano… che per avvalorare la mia tesi si sposa con un proverbio pronunciato soprattutto fuori zona che recita “Velletrano sette volte villano”) non è una lingua (come il Napoletano) e non può essere utilizzata come il Napoletano nel teatro e nella musica (a meno che non ci si voglia divertire tra zii e cugini). Semplicemente perché abbiamo radici diverse dalla città di Napoli, come è normale e giusto che sia. Totò, Eduardo, Massimo Troisi (e tutta la loro eredità a seguire) hanno avuto, avevano e avranno la fortuna di essere capiti in tutto il mondo (pur parlando in Napoletano stretto) per fattori storici. Nel passato, a causa delle invasioni che la città di Napoli ha subito, i Napoletani hanno partorito la necessità di farsi capire tramite i gesti. Da lì nasce la famosa “gestualità italiana” che ci riconoscono come marchio di fabbrica soprattutto all’estero. Per questo Eduardo ha replicato le sue commedie in ogni continente, per questo Massimo Troisi verrebbe capito persino in Congo. E soprattutto con eleganza priva di ogni traccia di volgarità. Altra conferma di ciò che vi dico è data dal fatto che molti continuano a definirci “Paesino”. Velletri è una città, una piccola città di 60 mila abitanti. Anche se ora come ora sono 59.999, dato che so’ annáto ‘n attimo fòri pe’ spiegà mejo all’artri tutto quello che vi ho appena scritto.
Siate orgogliosi di appartenere ai vostri posti. Ma cercate di difenderli bene”, ha concluso Shany.