Consumo del suolo e distruzione dell’Ambiente: una prerogativa tutta italiana
La trasmissione “Report” di Rai 3, condotta dal giornalista Sigfrido Ranucci, ha innumerevoli volte denunciato, con le sue inchieste coraggiose e condotte con rigore ed amore di verità, tanti episodi di malaffare che sono causa di devastazioni e scempi ambientali, che nell’arco degli ultimi decenni hanno reso malate intere porzioni del territorio italiano. L’Italia è l’unico caso al mondo in cui il 25% circa della superficie nazionale risulta devastato da cementificazione, speculazione edilizia, urbanizzazione selvaggia, attività industriali che spesso e volentieri operano in deroga alle più elementari norme di tutela ambientale e salvaguardia della salute pubblica: i casi dei poli siderurgici di Taranto e di Bagnoli, che hanno per decenni avvelenato i territori limitrofi, sono certo quelli più eclatanti, come anche l’incidente occorso il 10 luglio 1976 nell’impianto ICMESA di Seveso per la preparazione dell’acido triclorofenilacetico (un noto defogliante), a causa del quale la tetracloroparadibenzodiossina prodottasi in forma di nube contaminò i terreni circostanti e quelli di molti altri Comuni limitrofi. Ho qui citato dei fatti ormai storici per far comprendere la portata dell’attacco perpetrato all’ambiente sui nostri territori che dura senza sosta ormai da ben oltre mezzo secolo.
Dal secondo dopoguerra, con le motivazioni più disparate, fra cui la necessità di una rapida ricostruzione e del favorire uno sviluppo economico che rendesse l’Italia in grado di affrontare le sfide dei tempi e di essere all’altezza di altre grandi potenze economiche ed industriali, si sono voluti giustificare una serie di atteggiamenti che alla fin fine si sono dimostrati pirateschi, se non come addirittura delle vere e proprie azioni cannibaliche contro il territorio ed il patrimonio ambientale e naturalistico. Si è sempre teso a sminuire il fatto che nel nostro Paese esiste una lobby di cementificatori, costruttori e palazzinari i cui frequenti intrecci con mafia, malaffare e politica sono stati spesso oggetto di indagini e denunce. Non ho detto quindi fin qui nulla di nuovo.
Le ultime puntate di Report su Rai 3 (in particolare mi riferisco a quelle del 5 e 19 gennaio di questo 2025) ancora una volta denunciano l’attacco al territorio fatto di colate di cemento, consumo ed impermeabilizzazione di ettari di suolo ed altre nefande azioni impattanti in maniera irreversibile sull’ambiente: dalla realizzazione di megastrutture come i famigerati centri commerciali (di cui il nostro territorio è strapieno) fino a progetti faraonici, come il tanto discusso quanto folle progetto del ponte sullo Stretto di Messina. In più di una inchiesta giornalistica è stato fatto notare come la realizzazione dei centri commerciali sia spesso un veicolo per il riciclaggio di capitali frutto di proventi illeciti da parte di varie mafie (non in ultimo la ‘Ndrangheta e la Camorra che spesso, come risaputo, controllano in diverse regioni, fra cui la nostra, interi settori commerciali come quello, ad esempio, dei mercati ortofrutticoli). Il ponte sullo Stretto di Messina rappresenta poi una realtà che sin qui si è dimostrata essere una vera voragine di soldi, con il relativo Ente che fino ad oggi è costato oltre 320 milioni di euro: un ente inutile che fin qui nulla ha prodotto e che si è dimostrato essere una vera e propria idrovora di denaro pubblico.
Per quanto se ne possa dire, o che agli occhi possa apparire o non apparire, la situazione italiana è drammatica: un consumo annuo di suolo pari a circa 78 chilometri quadrati (nel giro degli ultimi trent’anni siamo stati capaci di cementificare e distruggere una superficie quasi pari a quella del Granducato del Lussemburgo); distruzione di centinaia di chilometri quadrati di superficie forestale con una perdita di oltre il 35% del patrimonio forestale di alberi d’alto fusto ultracentenari e plurisecolari nell’arco dell’ultimo mezzo secolo; attacco alle nostre aree boschive portato avanti con metodi scellerati e criminali di ceduazione selvaggia realizzata con la presenza di mezzi cingolati pesanti, con cui non ci si limita ad un taglio sostenibile, ma spesso si estirpano interi impianti arborei, si distrugge il sottobosco e tutta la sua ricca biocenosi, lasciandosi sovente alle spalle una distesa fangosa di color grigio cemento a causa del substrato argilloso sottostante lo strato di humus e portato in superficie dalla azione meccanica aggressiva dei macchinari usati. Oltre a tutto ciò, per decenni si è assistito ad una urbanizzazione scriteriata portata avanti senza un benché minimo piano di tutela ambientale e di riguardo per le peculiarità orografiche ed idrogeologiche del territorio, costruendo fin nell’alveo dei corsi fluviali, invadendo i naturali percorsi delle acque di superficie, imbrigliando i corsi d’acqua con argini di cemento, se non addirittura tombandone interi chilometri di percorso. I disastri negli anni passati fino alle più recenti alluvioni in Emilia Romagna, ormai divenute un annuale fenomeno di rito, dimostrano la totale mancanza nel nostro Paese di una cultura improntata alla progettualità, allo studio scientifico delle leggi che governano la Natura e sui relativi aspetti fenomenologici.
La nostra classe politica, per quanto tutti noi ce ne possiamo lamentare, rappresenta in maniera incontrovertibile uno spaccato della società italiana: un Paese con oltre un 40% di analfabeti totali, analfabeti di ritorno ed analfabeti funzionali; un Paese in cui gli studi scientifici sono stati sempre mortificati e trattati da Cenerentola; un Paese (come più volte affermato da un filosofo del calibro di Umberto Galimberti) dove abbondano gli avvocati, i commercialisti e i professori di lettere, ma mancano i medici, i fisici, i chimici, i biologi e gli scienziati in genere. In questo mare di ignoranza l’arroganza trova il suo ideale terreno di coltura. Nessuna meraviglia, quindi, che la nostra classe politica e di amministratori locali si dimostri totalmente insensibile alle più elementari istanze di tutela ambientale; nessuna meraviglia che nel vocabolario dei nostri politici manchino totalmente locuzioni come “reingegnerizzazione e progettazione del territorio”, “rispetto, tutela, conservazione ed ampliamento del patrimonio boschivo”, “monitoraggio attento ed accurato delle risorse idrologiche di superficie (bacini lacustri e fluviali) e delle falde acquifere”, “controllo e limitazione del consumo di suolo”, “monitoraggio accurato e frequente della qualità dell’aria, soprattutto in prossimità di siti con presenza di particolari attività industriali” e via dicendo. Questa è l’ignoranza che regna nel nostro Paese, il suo -ahimè, dispiace dirlo!- più autentico emblema! La grande Rita Levi Montalcini soleva dire che quando un popolo è mantenuto nell’ignoranza dà il peggio di se stesso. Se qualcuno ha il coraggio di metterci la faccia, venga pure a smentirla!
Sandro Pignatti, biologo e scienziato ambientale, in un suo bel libro dal titolo “Ecologia del paesaggio” (Ed. UTET, 1994) fa una citazione che suona quasi come una analisi antropologica della mentalità italiana e del rapporto che gli italiani hanno con l’ambiente (vedi ristampa del volume qui citato, anno 1997, pag. 184 e segg.): una ignoranza dei principi alla base degli equilibri naturali; una indifferenza, se non addirittura aperto disprezzo, nei confronti del patrimonio naturale, che porta a vedere le aree boschive solo come luogo di sfruttamento, il verde nei parchi cittadini o lungo i viali come qualcosa di inutile, anzi, come un vero e proprio fastidio. Non poche volte ho sentito persone lamentarsi del fatto che “gli alberi in città sporcano”, “tolgono aria e spazio ai parcheggi” ed altre amenità del genere: si tratta delle classiche recriminazioni di quel “tipo italico” che io amo chiamare “bifolco medio”, di colui per il quale è importante possedere una villa di 300 metri quadrati, magari con piscina (alla faccia del consumo di suolo!) ed anche un bel SUV, magari un 5000 di cilindrata (con buona pace per la qualità dell’aria!). Le ambizioni di tanti di questi bifolchi, che sebbene le loro ville e i loro SUV sempre bifolchi restano, hanno portato al proliferare di una industria fatta di palazzinari, speculatori, consumo di suolo, abusivismo edilizio e discariche abusive che hanno letteralmente massacrato i nostri territori.
Essendo per anni vissuto all’estero ed essendo stato educato a cavallo fra diverse culture (quella germanica mitteleuropea e quella italiana), posso permettermi, non per presunzione ma per esperienza, di fare paragoni. In ragione di ciò sono convinto, contrariamente a quanto è nella mentalità di altri popoli europei e non solo, che gli italiani, almeno in buona parte, nutrono una vera e propria idiosincrasia per il verde, un vero e proprio menefreghismo per l’ambiente: l’importante è l’aspetto meramente economico. Ma anche qui l’economia è vista nel suo aspetto più becero: speculazione, profitto immediato, guadagno facile. In quest’ottica tanto egoistica quanto miope e demenziale non si pensa al deserto che si lascerà ai propri stessi figli: tale e tanta è l’avidità, la voracità e la fame di denaro, che la stessa capacità di lungimiranza e lo stesso buon senso ne escono accecati. In più di un autorevole studio è stato pronosticato che entro il 2100 una buona parte del territorio italiano sarà desertificato (in Sicilia ciò si sta realizzando con il prosciugamento ormai totale di svariati bacini lacustri e con penuria d’acqua in molti importanti Comuni) e la popolazione più che dimezzata: fra le cause di tutto ciò, la totale mancanza di una politica lungimirante che investisse risorse nella riforestazione del territorio e della tutela del patrimonio idrologico. Fra cinquant’anni o poco più i nostri figli e nipoti ci ringrazieranno per tutto ciò!
Voglio terminare queste mie considerazioni, che forse infastidiranno qualche lettore (ma su chi si sentirà colpito da qualche mio giudizio non me ne farò di certo cruccio alcuno!), citando un paio di esempi di scempio ambientale che si sta perpetrando nell’area dei nostri Castelli Romani e sui territori limitrofi. Nella zona di Monte Artemisio, come anche in vaste porzioni del Parco dei Castelli Romani, si sta portando avanti con il pretesto della pratica del bosco ceduo una vera e propria opera devastante a danno del nostro patrimonio boschivo: intere aree montagnose e collinari presentano ormai una nudità evidente destinata ad avere drammatiche ripercussioni sulla tenuta idrogeologica di intere zone in pendenza. Con ciò, inoltre, mettendo a nudo la componente argillosa del suolo, si favoriranno ineluttabilmente fenomeni di laterizzazione e vera e propria cottura di vaste superfici, le quali con l’andar del tempo, depauperate del proprio contenuto in nutrienti naturali, indurite ed in parte impermeabilizzate, si dimostreranno inospitali e non più adatte in futuro all’instaurarsi di una nuova biocenosi forestale. Forse qualcuno oggi non pensa che tutto ciò sarà causa dello stesso impoverimento delle nostre falde acquifere. Sul fronte del verde non va bene neanche all’interno dei nostri territori cittadini: nella città di Velletri il tanto sbandierato progetto delle precedenti Amministrazioni di creare un parco pubblico con la piantumazione di centinaia di alberi nell’area ex 167 è rimasto come una bella fiaba nel mondo dei sogni, mentre l’attuale giunta ha preferito lastricare integralmente Piazza Cairoli, senza minimamente prendere in considerazione la creazione di un’area verde con la piantumazione di diversi alberi. A proposito di piantumazioni, l’attuale Amministrazione del Comune di Genzano a guida Zoccolotti si è data da fare per abbattere decine di alberi, ma non è stata certo solerte per il ripristino delle unità arboree abbattute con le necessarie ripiantumazioni. Genzano vanta una delle più belle passeggiate urbane verdi dei Castelli Romani, con il suo percorso fra l’Olmata (via Vittorio Veneto), via Piave, via Mazzini e viale Don Morosini: lungo questo percorso sono stati abbattuti per vari motivi (alberi pericolanti, malati o morti) almeno 120 alberi, ma mai ha fatto seguito una adeguata opera di ripiantumazione e ripristino delle alberature mancanti. Sebbene interrogata o interpellata in proposito da più parti, la risposta dell’attuale Amministrazione genzanese è stata il totale silenzio: una bella dimostrazione di menefreghismo ed arroganza!
Infine, ma non in ultimo, un caso che porta il nome di Fassa Bortolo e che è tutto un programma. Nella giornata di domenica 27 dicembre 2024 ho avuto modo di fare un sopralluogo nelle zone interessate all’attività dell’impianto della citata Fassa Bortolo. Accompagnato dall’amico Dott. Emilio Bongiovanni che mi ha fatto da preziosa guida in quanto conoscitore dei luoghi, ho avuto occasione di visitare i territori fra Giulianello, Lariano e Artena e le vicinanze del sito in cui si trova lo stabilimento della Società ora menzionata. L’attività impattante di questa industria sul territorio si evidenzia già osservando gli sbancamenti eseguiti sui rilievi montuosi circostanti: un vero attacco al paesaggio e alla stessa orografia territoriale, un innegabile scempio che ferisce l’occhio di qualsiasi osservatore dotato di un minimo di sensibilità. A questo aggiungasi l’ormai annunciato ampliamento dell’attività di questo cementificio con la produzione a caldo che prevede l’uso di forni per l’arrostimento del materiale calcareo con consumo non solo di biomassa, ma anche di altre tipologie di combustibile: tutto ciò con un più che giustificato allarme da parte di diversi comitati di cittadini circa le conseguenze in termini di impatto sulla qualità dell’aria e le ricadute sui terreni circostanti per un raggio di svariati chilometri.
La situazione ambientale per ciò che concerne il Parco dei Castelli Romani e dei territori ad esso limitrofi sta evolvendo, anzi degenerando, verso prospettive allarmanti di un degrado ormai conclamato: se fra qualche decennio i nostri territori si presenteranno come un deserto inospitale, inquinato, con bacini lacustri ridotti a misere pozzanghere, se non totalmente prosciugati, e falde acquifere ormai a secco, dovremo ringraziare la politica, gli Amministratori locali e una ignoranza diffusa, la quale pone il nostro stesso popolo su un livello di inciviltà che non sarà certo un bel biglietto da visita con cui l’Italia potrà presentarsi di fronte al resto del mondo.
Lucio Allegretti